Verdetto Thyssen atteso per il 28 febbraio

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Mancano quattro settimane: verrà pronunciata il prossimo 28 febbraio la sentenza d’appello per il rogo della Thyssenkrupp di Torino. Nei tre giorni precedenti ci sarà spazio per le repliche e poi la parola spetterà ai giudici.
In primo grado, il 15 aprile 2011, la sentenza fu perentoria, al punto da essere ritenuta uno spartiacque nella giurisprudenza italiana legata al mancato rispetto delle norme di sicurezza sul lavoro: 16 anni e mezzo per omicidio volontario con dolo eventuale a carico dell’amministratore delegato della società, Harald Espenhahn, e pene tra i dieci e i 13 anni per gli altri cinque dirigenti. Adesso il verdetto sarà confermato o – se la linea della difesa avrà fatto breccia – ridimensionerà la portata dei reati riconosciuti e delle relative condanne.
La notte tra il 5 e il 6 dicembre 2007 nell’ormai famigerata linea 5 dello stabilimento persero la vita tra le fiamme sette operai : Antonio Schiavone, Roberto Scola, Angelo Laurino, Bruno Santino, Rocco Marzo, Rosario Rodinò e Giuseppe Demasi. La maggior parte di loro – a causa delle ustioni – fu sottoposta a diverse settimane di atroci sofferenze, prima di morire. Per quanto accaduto la procura – il pm Raffaele Guariniello in testa, insieme a Laura Longo e Francesca Traverso – ha chiesto, in secondo grado, la conferma della totalità delle condanne emesse.
Secondo l’accusa lo stato di degrado della fabbrica è stato la “miccia” che ha innescato l’incendio. Sconvolgente la ricostruzione dei fatti – realizzata sulla base delle indagini – riportata nella relazione introduttiva al processo d’appello dal giudice a latere, Paola Perrone. “Le vittime morirono o furono gravemente ustionate non perché si avvicinarono tanto alle fiamme da entrare in contatto con esse – si legge – ma perché furono raggiunte ed avviluppate da un flash fire, una nuvola incandescente di olio nebulizzato deflagrato per la presenza nell’ambiente di fiamme libere, che si espanse sfericamente per alcuni metri”.
A salvarsi dall’aggressione di questa “nuvola di fuoco” fu il solo Antonio Boccuzzi.
La linea di difesa, nel corso del dibattimento, ha cercato di mettere in discussione la responsabilità degli accusati negli eventi, sostenendo che l’azienda – dai vertici al management – aveva ottemperato agli obblighi previsti dalla legge in materia di sicurezza. A causare l’incidente – secondo i legali di Espenhahn e dei cinque dirigenti – fu una serie di concause imprevedibili. Compresi – un passaggio che ha fatto indignare i parenti delle vittime – anche la negligenza degli stessi addetti alla linea 5. “Le anomalie accorse quella sera, quali la presenza del catarifrangente sotto la fotocellula, la presenza della carta attaccata al rullo in fase di lavorazione e il mancato presidio della linea da parte dei lavoratori hanno creato di per sé una situazione fuori dall’ordinario – ha dichiarato Ezio Audisio, difensore di Espenhahn e di Gerald Priegnitz, direttore finanziario del gruppo – pertanto impossibile da prevedere e prevenire da parte del datore di lavoro”.

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Redazione InSic

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