Autorizzazione alla produzione di conglomerati cementiti in prossimità di centri abitati

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Ad una società che svolge attività di produzione di conglomerati cementiti era stata negata, da parte del Comune d’appartenenza, la richiesta di una concessione edilizia per l’adeguamento dell’impianto industriale di preparazione dei conglomerati per difformità rispetto all’art. 29 delle N.T.A. del P.R.G. vigente (D.C.R. n.197/2001), in quanto l’attività svolta dall’impianto rientrava nell’elenco delle industrie insalubri di cui all’art. 216 T.U. delle Leggi sanitarie (D.M. 5.9.1994 ).
Nella fattispecie, la società ha affermato di avere da tempo chiesto al Comune di poter realizzare un nuovo impianto tecnologico in aggiunta, prima, e in sostituzione, poi, di quello esistente nella stessa area e che il progetto aveva ricevuto i pareri favorevoli della Usl e dell’Arpat, ma il Comune ne ha preteso lo spostamento nell’area golenale del fiume Tevere perchè alcuni cittadini della zona non gradivano la presenza di impianti produttivi. Inoltre, la società lamentava il fatto che le condizioni imposte dal Comune erano assurde e inaccettabili, anche perché concessione sarebbe stata a titolo precario (per soli 5 anni) e non definitivo e con una serie di gravosi adempimenti (smantellamento dell’impianto esistente, rimessa in pristino della nuova area, costruzione di un tratto di argine ed altro).
In merito alla vicenda, il Consiglio con la sentenza n. 364 del 22 gennaio 2013 ha precisato che l’art. 216 t.u.l.s., nel consentire la permanenza delle industrie insalubri nei centri abitati a certe condizioni ed accorgimenti tecnici, non ha autorizzato il Comune a disporre una deroga al disposto della norma, tale da porre nel nulla il precetto che vuole lontane dagli abitati le lavorazioni insalubri.
Al contrario, ha inserito una prescrizione che si armonizza con le norme dello strumento urbanistico e ha proprio il fine di allontanare quelle lavorazioni a tutela della qualità della vita dei residenti. Si tratta quindi di un ulteriore strumento di governo del territorio che conferisce all’ente locale, nell’ambito del generale potere pianificatorio, un’ampia potestà di valutazione della tollerabilità o meno di quelle attività, tanto ampia da comprendere anche l’interdizione dall’esercizio delle attività stesse.
Inoltre, secondo il Consiglio,in base all’art. 29 delle N.T.A. del P.R.G. vigente (D.C.R. n. 197/2001) l’attività svolta dall’impianto rientrava nell’elenco delle industrie insalubri di cui all’art. 216 T.U. delle Leggi sanitarie (D.M. 5.9.1994 e successive modifiche).Ciò non avrebbe comunque consentito al comune il rilascio della richiesta concessione edilizia nella zona ove si svolge l’attività.
Per tali ragioni, le censure proposte dall’appellante, in merito alla circostanza per cui l’impianto da realizzare non sarebbe inquinante per l’alta tecnologia che lo contraddistinguerebbe, sono del tutto inconferenti perché in quella zona in nessun caso avrebbe potuto essere localizzato secondo le N.T.A. all’epoca vigenti.

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Redazione InSic

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