Sversamento incontrollato al suolo di reflui: non è necessaria l’analisi per dimostrare la natura di rifiuto

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Ai fini della qualificazione di un rifiuto quale tossico e nocivo non è sempre necessaria un’analisi disposta dal giudice, potendosi ricavare da altri elementi del processo il relativo convincimento.
Così la Cassazione penale nella sentenza n. 30626/2018.
Commento a cura di A. Quaranta sulla Banca Dati Sicuromnia(*) dove è disponibile anche il testo completo della sentenza commentata.
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Il caso
Due soggetti erano stati condannati per avere, in concorso tra loro, smaltito illecitamente, mediante lo sversamento incontrollato al suolo, rifiuti pericolosi del tipo reflui provenienti da impianto fognario civile.
Fra i motivi di ricorso l’asserita “indimostrata la natura di rifiuto”, ritenuta invece provata dalla sentenza impugnata: il materiale fuoriuscito dall’autobotte, secondo la difesa, sarebbe stata semplice acqua potabile, e non rifiuto.
Del resto, concludeva la difesa, non era stato effettuato alcun campionamento o prelievo, e il teste sentito in dibattimento non ha saputo specificare la natura della sostanza sversata dall’autobotte.

Secondo la Cassazione
La Cassazione ha ritenuto inammissibile il ricorso, “per manifesta infondatezza dei motivi, e per genericità””, e ha precisato che, ai fini della qualificazione di un rifiuto quale tossico e nocivo, e della configurabilità del reato di cui all’art. 256, comma 1, lettera B), D.Lgs. 152/2006, non è sempre necessaria un’analisi disposta dal giudice, potendosi ricavare da altri elementi del processo il relativo convincimento (nel caso di specie, per identificare la natura dei rifiuti reflui provenienti da impianto fognario civile) non sussiste una necessità di analisi con perizia, in quanto l’osservazione diretta degli operanti di P.G. – sia del caricamento e sia dello sversamento – rende certa la natura del liquido sversato dall’autobotte.

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Redazione InSic

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