Decreto del Fare: Regioni, il parere sulle modifiche al Codice Ambiente

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All’interno del Parere rilasciato dalla Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome l’11 luglio scorso, sul DDL di conversione in legge del Decreto del Fare, gli Enti locali hanno espresso le proprie considerazioni anche sulle modifiche previste al Codice Ambiente.
Ricordiamo che l’Articolo 41 del Decreto del Fare incide su diverse questioni contenute nel Codice Ambiente, ovvero acque di falda, matrici ambientali da riporto, ma anche in materia di bonifiche, AIA, VIA e AUA.

Acque di falda

In materia di gestione delle acque di falda (Art. 243 – Gestione delle acque sotterranee emunte), il comma 1 dell’articolo 41 sostituiva l’articolo 243 del TUA, ma le Regioni chiedono di specificare che quando le acque di falda “determinano una situazione di rischio sanitario”, esso va inteso “come rischio per la salute umana, o di trasporto di inquinanti oltre il punto di conformità definito ai sensi dell’allegato 1 al titolo V della parte quarta del presente decreto”. In questo caso resta ferma la modifica del Decreto del Fare che prosegue stabilendo che “oltre alla eliminazione della fonte di contaminazione ove possibile e economicamente sostenibile, devono essere adottate misure di attenuazione della diffusione della contaminazione conformi alle finalità generali e agli obiettivi di tutela, conservazione e risparmio delle risorse idriche stabiliti dalla parte terza”.

Tale precisazione delle Regioni si è resa necessaria in quanto parlare solo di rischio sanitario non ulteriormente caratterizzato, non avrebbe previsto la necessità di interventi di MISE o di bonifica della falda in casi di eccedenze sulle CSC a valle del punto di conformità (allegato I, titolo V, parte quarta 152/2006) nel caso di rischio sanitario non significativo.
Le Regioni propongono poi di eliminare il punto 2 del comma 1 dell’articolo 41 del Decreto del Fare in base al quale “Gli interventi di conterminazione fisica o idraulica con emungimento e trattamento delle acque di falda contaminate sono ammessi solo nei casi in cui non è altrimenti possibile eliminare, prevenire o ridurre a livelli accettabili il rischio sanitario associato alla circolazione e alla diffusione delle stesse. Nel rispetto dei principi di risparmio idrico di cui al comma 1, in tali evenienze deve essere valutata la possibilità tecnica di utilizzazione delle acque emunte nei cicli produttivi in esercizio nel sito stesso o ai fini di cui al comma 6.”

Terre e rocce da scavo e applicazione del DM 161/2012

Le Regioni non condividono limitazione del campo di applicazione del D.M. 161/2012 alle sole terre e rocce da scavo che provengono da attività o opere soggette a valutazione di impatto ambientale o ad autorizzazione integrata ambientale: infatti, sottolineano gli Enti Locali, “Il D.M. 161/2012 risultava chiaramente esteso a tutte le attività di movimentazione materiali, tant’è che all’articolo 6 prevedeva la gestione delle situazioni di emergenza, situazioni che non sono previste nella gestione di VIA o AIA. Peraltro la nuova previsione normativa non prevede una disciplina transitoria”.

Le previsioni del Decreto del Fare potrebbero causare, secondo l’interpretazione delle Regioni, una incertezza applicativa analoga a quella che aveva spinto il Legislatore a prevedere un decreto ministeriale che stabilisse i criteri “qualitativi e quantitativi da soddisfare affinché specifiche tipologie di sostanze o oggetti [le terre e rocce in questo caso] siano considerati sottoprodotti e non rifiuti”, in quanto si dovrà valutare “caso per caso” il rispetto di tutte le condizioni richieste per la qualifica di sottoprodotto.
Ad ogni modo, secondo le Regioni “resta il dubbio relativo alla possibilità di movimentare tali materiali come sottoprodotto, poiché l’articolo 49 della legge 24 marzo 2012 (conversione del d.l. 24 gennaio 2012, n. 1), stabiliva al comma 1 bis che l’emanando decreto di regolamentazione dell’utilizzo delle terre e rocce da scavo avrebbe dovuto stabilire le condizioni alle quali tali materiali sarebbero stati considerati sottoprodotti”. Le Regioni pertanto, ritengono che il D.M. 161/2012 debba essere applicato a tutte le attività che prevedono uno scavo superiore ai 6.000 mq o, in alternativa, prevedere l’utilizzo dell’articolo 186 del D.M. 152/2006 per tutte le attività non soggette a VIA o AIA.

Le Regioni poi ricordano che il Ministero dell’Ambiente deve ancora emanare il decreto per la semplificazione amministrativa delle procedure relative ai materiali, ivi incluse le terre e rocce da scavo, provenienti da cantieri di piccole dimensioni la cui produzione non superi i 6.000 metri cubi, previsto dall’articolo 266, comma 7, d. lg.s 152/2006. Nel frattempo, la legge 71/2013 ha previsto all’art. 8 bis che, per i cantieri di piccole dimensioni, si applicano le disposizioni stabilite dall’art. 186 del d.lgs. 152/2006 in deroga a quanto stabilito dall’art. 49 del d.l. 24 gennaio 2012 convertito con modificazioni dalla l. 24 marzo 2012 n. 27.
Le Regioni manifestano perplessità sulla portata del comma 1 del citato articolo 8 bis della legge 71/2013 che pare estendere la limitazione della disciplina della gestione delle terre e rocce da scavo del D.M. 161/2012, non solo all’area di Piombino, ma a tutto il territorio nazionale: secondo le Regioni pertanto, occorre abrogare l’articolo 8 bis, comma 1, della legge 71/2013.

Matrici da riporto

Infine, sempre in tema di matrici da riporto, il Decreto del Fare prevede (art. 41 comma 3 lettera b)) una modifica all’articolo 3 del decreto-legge 25 gennaio 2012, n. 2 (Decreto Ambiente). Questo Decreto a sua volta modificava l’articolo 185 del Codice Ambiente che esclude dall’applicazione della Parte IV del D.Lgs. 152/2006 “il terreno (in situ), inclusi il suolo contaminato non scavato e gli edifici collegati permanentemente al terreno, fermo restando quanto previsto dagli artt. 239 e ss. relativamente alla bonifica di siti contaminati (let b)”.
Richiamare questa esclusione per le matrici da riporto obbligherebbe sempre a fare il test di cessione in presenza di matrici materiali di riporto, anche se non movimentate. Inoltre, le Regioni propongono di sostituire il comma 3, lettera b), punto 3) del Decreto del Fare, prevedendo che “Le matrici materiali di riporto che non siano risultate conformi ai limiti del test di cessione sono fonti di contaminazione e come tali devono essere rimosse o assoggettate a operazioni di trattamento che rimuovano i contaminanti al fine di rendere le matrici materiali di riporto conformi al test di cessione. Eventuali altre operazioni dovranno rispettare quanto previsto dalla legislazione vigente in materia di bonifica dei siti contaminati”.

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Redazione InSic

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