Bonifica SIN e contaminazioni storiche: vale il principio chi inquina paga?

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Nell’ambito di un procedimento di bonifica di un sito all’interno di un SIN è possibile estendere l’applicazione del principio “chi inquina paga” anche a fatti accaduti decenni fa, quando ancora non esisteva in materia di bonifiche?

Risponde l’Esperto della Banca Dati Sicuromnia, Andrea Quaranta (Environmental Risk and crisis manager) su Banca Dati Sicuromnia * (dove si trovano tutti i riferimenti normativi collegati)

Secondo l’Esperto della rivista Ambiente&Sicurezza sul lavoro


Per rispondere a tale questione occorre prendere in esame le contaminazioni storiche distinguendo i problemi che devono rimanere assoggettati a discipline diverse.
Il punto di partenza è la considerazione che l’inquinamento ambientale è una condizione permanente, risolta solo con la bonifica o con il ripristino di stabili condizioni di sicurezza.
Sul piano privatistico questo comporta il mancato decorso della prescrizione (Cass. civ. Sez. III, n. 3259/2016), mentre
Sul piano amministrativo significa che la qualificazione di una situazione come inquinamento deve essere effettuata sulla base della normativa attuale, in quanto la valutazione degli interessi pubblici, in questo caso ambientali, deve sempre avere il massimo grado di aggiornamento possibile.
Per quanto riguarda la responsabilità, invece, questa deve essere valutata in base a quanto in concreto si poteva storicamente esigere dagli autori dell’inquinamento, nel rispetto del principio di certezza del diritto.
Più in dettaglio, è possibile individuare tre profili di analisi:
-la qualificazione della situazione come inquinamento, attualmente da collegare ai valori delle CSC;
la definizione del contenuto degli interventi di messa in sicurezza e di bonifica;
-l’individuazione del responsabile, tenuto a eseguire i predetti interventi o a subirne il costo.

Per i primi due profili trovano necessaria applicazione le norme comunitarie e nazionali attualmente in vigore, come del resto è espressamente stabilito dall’art. 242 comma 1 del Dlgs. 152/2006, che dichiara applicabile la stessa disciplina alle contaminazioni nuove e a quelle storiche (v. anche CGE, sez. III 4 marzo 2015 C 534/13).
Nel caso di contaminazioni storiche, occorre applicare i principi generali in vigore all’epoca dei fatti, che possono essere individuati nella fattispecie ex art. 2050 c.c. (esercizio di attività pericolose): sono da considerare pericolose non solo le attività già qualificate come tali da una norma, ma anche quelle che, per la loro stessa natura o per le caratteristiche dei mezzi adoperati, comportino una rilevante possibilità del verificarsi di un danno, avendo una spiccata potenzialità offensiva (v. Cass. civ. Sez. III 29 luglio 2015 n. 16052).
Una volta accertata la pericolosità e ricostruito il nesso causale, la responsabilità ex art. 2050 c.c. è presunta, con onere per il soggetto che ha svolto l’attività pericolosa di dimostrare di aver adottato tutte le misure idonee a evitare il danno (in questi termini, di recente, si veda TAR di Brescia, n. 802/2018).

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Redazione InSic

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