Prelievo di acqua da un lago: quando la condotta è abusiva?

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È mai possibile che per la semplice realizzazione di un impianto idraulico per prelevare acqua da un lago – per innaffiare il mio giardino in estate – a causa dei cattivi rapporti con il mio vicino (che mi ha denunciato: per aver prelevato un po’ di acqua!) io sia stato addirittura indagato per inquinamento ambientale (ovviamente hanno sequestrato tutto)?
Si parla tanto di significatività e misurabilità di un presunto danno, e poi si viene condannati per aver prelevato un po’ di acqua da un laghetto, peraltro non in modo abusivo!


Risponde l’Esperto della rivista Ambiente&Sicurezza sul Lavoro, Andrea Quaranta (Environmental Risk and crisis manager)

Secondo l’Esperto della rivista Ambiente&Sicurezza sul lavoro

La valutazione della legittimità del sequestro, secondo una consolidata giurisprudenza della Cassazione, non deve essere effettuata nella prospettiva di un giudizio di merito sulla fondatezza dell’accusa, quanto in riferimento all’idoneità degli elementi su cui si fonda la notizia di reato a rendere utile l’espletamento di ulteriori indagini, per acquisire prove certe o prove ulteriori del fatto, non esperibili senza la sottrazione all’indagato della disponibilità della res o l’acquisizione della stessa nella disponibilità dell’autorità giudiziaria.
La Cassazione ha anche precisato che il concetto di fumus di reato che caratterizza i presupposti per l’emanazione di sequestro probatorio deve esser valutato tenendo conto della disciplina fissata dagli artt.352-355 cod. proc. pen. e considerando che, versandosi in tema di “assicurazione delle fonti di prova”, spesso si opera nella fase iniziale delle indagini, con la conseguenza che non può pretendersi il medesimo livello di accertamento che caratterizza il diverso istituto del sequestro preventivo.
In una recente sentenza, in relazione al tema della abusività della condotta la Cassazione ha ribadito che è abusiva non soltanto quella posta in essere in assenza delle prescritte autorizzazioni o sulla base di autorizzazioni scadute o palesemente illegittime o comunque non commisurate alla tipologia di attività richiesta, ma anche quella posta in essere in violazione di leggi statali o regionali – ancorché non strettamente pertinenti al settore ambientale – ovvero di prescrizioni amministrative (Cassazione Penale, n. 28732/18).
Sulla base di queste premesse, la Cassazione ha affermato che l’abusività della condotta è stata individuata:
– nell’inosservanza delle prescrizioni imposte in un progetto di bonifica;
– nella mancanza di autorizzazione allo scarico di un depuratore;
– nell’esercizio di attività di pesca che, seppure non vietata, sia effettuata con mezzi non consentiti o da soggetti non abilitati
Nel caso prospettato nel quesito, immagino che l’abusività della condotta venga ipotizzata in relazione all’art. 17 del Regio Decreto 1775/1933, il quale stabilisce che:
– “è vietato derivare o utilizzare acqua pubblica senza un provvedimento autorizzativo o concessorio dell’autorità competente” e
– “in caso di violazione l’amministrazione competente dispone la cessazione dell’utenza abusiva ed il contravventore, fatti salvi ogni altro adempimento o comminatoria previsti dalle leggi vigenti, è tenuto al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria e di una somma pari ai canoni non corrisposti”.
È del tutto evidente, secondo la Cassazione, che:
– la violazione di tale disposizione, che configura una violazione amministrativa, consente senz’altro di qualificare come abusiva la condotta posta in essere, e
– rientra tra le condotte “abusive” richieste per la configurabilità di alcuni delitti contro l’ambiente la captazione di acque pubbliche in assenza di autorizzazione o concessione in violazione dell’art. 17 r. d. 1775/1933.

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Redazione InSic

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