Processi d’amianto: Strasburgo condanna la Svizzera

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Sotto accusa il termine iniziale di decorso della prescrizione decennale per il diritto al risarcimento: la prolungata latenza delle malattie connesse all’amianto impedirebbe il diritto al ricorso



La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo nella causa Howald Moor and others v. Switzerland – time-limits for claims from workers with asbestos-related diseases ha condannato la Svizzera in una causa relativa al mancato accesso al ricorso in favore di un lavoratore contro il suo datore di lavoro, per un risarcimento danni in seguito all’esposizione prolungata all’amianto sul luogo di lavoro.

Lo riporta il comunicato della Corte Europea dove si spiega che il caso riguarda il rigetto di un ricorso per risarcimento danni portato avanti nel 2005 dallo stesso lavoratore prima di morire: il lavoratore sosteneva di aver contratto la malattia sul posto di lavoro e che il suo datore di lavoro avesse mancato ai suoi obblighi, omettendo di adottare le misure necessarie per proteggere i lavoratori esposti regolarmente alle polveri di amianto regolarmente.
A seguito della morte del lavoratore nel 2005, i familiari avevano promosso ricorso, ma la Confederazione aveva respinto il ricorso per avvenuta prescrizione decennale (del diritto al ricorso).
Secondo la Svizzera, la prescrizione cominciava a decorrere dal momento della cessata esposizione (stabilita nel 1978) e il diritto al ricorso si sarebbe dunque prescritto entro il 1988.
Inoltre, secondo la CNA non vi era alcuna prova che il lavoratore fosse stato esposto all’amianto in qualsiasi momento dopo il 1995: tale pronuncia fu nuovamente oggetto di ricorso ma il Tribunale cantonale svizzero respinse nuovamente il ricorso, confermando l’impostazione secondo la quale il termine di prescrizione dovrebbe scattare dalla data in cui il datore di lavoro violi gli obblighi piuttosto che dalla data in cui il danno era ormai diventato evidente. In fase di appello alla Corte federale svizzera circa i termini finali della prescrizione, la stessa Corte ha preso atto che, nel caso di alcune malattie, il danno diventa evidente solo quando la malattia si è manifestata e che il danno, in questo caso non poteva essere prevista con certezza prima della scadenza del termine di prescrizione. Nonostante ciò la Corte svizzera ha ritenuto infondato il ricorso osservando che il legislatore non avesse stabilito norme specifiche sul danno legate all’amianto.

La Corte di Strasburgo, chiamata ad esprimersi sul caso, in via preliminare ha constatato che la controversia riguarda una questione complessa, vale a dire la fissazione del punto di partenza del termine di prescrizione decennale prevista dal diritto svizzero in relazione ai ricorsi presentati da individui affetti da malattie legate all’amianto.
La Corte ha però anche notato che, siccome la malattia era rimasta latente per molti anni, qualsiasi richiesta di risarcimento danni non avrebbe dovuto prescriversi prima che la vittima potesse essere oggettivamente a conoscenza dei propri diritti di ricorso, e che ciò dovrebbe essere preso in considerazione nel calcolo del termine di prescrizione. Secondo la Corte, se viene scientificamente provato che una persona non poteva sapere di soffrire di una certa malattia, ciò deve essere preso in considerazione per il calcolo del termine di prescrizione. Pur sostenendo che l’istituto della prescrizione persegua uno scopo legittimo, vale a dire la certezza del diritto, la Corte ha riconosciuto le difficoltà legate ad una applicazione sistematica della norma alle persone affette da malattie asbesto-correlate, patologie che potrebbero non essere diagnosticate fino a molti anni dopo gli eventi di attivazione: ciò di fatto priverebbe le persone della possibilità di far valere i propri diritti dinanzi ai giudici.
La Corte di Strasburgo ha poi aggiunto come sia stato presentato un disegno di legge per la revisione della legge elvetica sui termini di prescrizione. Tuttavia, essa non sembra prevedere alcuna soluzione equa al problema ma solo una soluzione “transitoria” nella forma di un “periodo di grazia”.

Per ora la Svizzera dovrà quindi pagare 12.180 euro di risarcimento ai familiari della vittima, più 9000 euro di spese legali ma è previsto un ricorso della Confederazione alla Gran camera della Corte. INAIL ha commentato la sentenza riconoscendo come tale pronuncia potrebbe aprire la strada a moltissime richieste analoghe.

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Redazione InSic

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