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CASE GREEN – cosa prevede la Direttiva UE: tra opportunità e criticità

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Il Parlamento europeo si è espresso con parere favorevole rispetto alla direttiva sulle “Case Green”.

Gli Stati membri dovranno, all’inizio del 2030 uniformare gli immobili alla Classe E, mentre dovranno arrivare alla Classe D entro il 2033.
Uniche eccezioni previste: case vincolate, ricadenti nei centri storici, case destinate alle vacanze, case indipendenti sotto i 50 mq, chiese e edifici destinati al culto.

Ristrutturazioni degli edifici: 50 anni tra normative sempre più working-progress

Gli edifici italiani dopo la corsa alle migliorie inerenti al 110% dovranno essere sottoposti a nuovi controlli e/o ristrutturazioni onde accertare di rientrare velocemente nella classe energetica D.

La collana delle imposizioni normative sul risparmio energetico, è iniziata in Italia a 3 anni dalla famosa crisi energetica del 1973, ovvero nel lontano 1976 con l’emanazione della Legge 373/76. Attraverso tale strumento l’Italia precorreva i tempi della divulgazione del risparmio di energia almeno di un ventennio rispetto ad altre Nazioni ora riunite nell’E.U., norma di semplice comprensione ed attuazione riguardava soprattutto edifici di nuova realizzazione.

Legge 1991: classificazione delle zone climatiche

Si è passati dopo i decreti di attuazione e aggiornamento alla emanazione della Legge 10 del 1991 che attraverso i decreti attuativi classificava l’Italia in sei zone climatiche e definiva i criteri delle relazioni energetiche in base ai parametri definiti nel FEN (Fabbisogno Energetico Normalizzato) indipendentemente dalle fasce climatiche.

Emissioni: le direttive UE

Successivamente, le complicazioni arrivano dopo l’avvento dell’Europa Unita. Infatti l’Europa inizia dal 1993 ad emanare una serie di direttive sulle emissioni, sui consumi e quindi sulla certificazione energetica, alle quali l’Italia si è dovuta adeguare modificando i principi del diritto privato che troppo spesso sono stati stato confusi con abitabilità, salubrità e agibilità di un immobile. Infatti un immobile in teoria potrebbe rimanere non abitato per lungo o breve tempo, per esempio perché è da ristrutturare e il suo ammodernamento è previsto in tempi diversi dall’atto di compravendita.

Efficienza energetica: i decreti di attuazione delle direttive europee

Sintetizzando, troviamo, dapprima l’emanazione del D.Lgs 192 del 2005 in recepimento alla Direttiva Europea 91/2002. Questo provvedimento poneva una limitazione del consumo di energia.

Tale Decreto tendeva soprattutto a sensibilizzare e a modificare la relazione tecnica ex Legge 10/91 inserendo le certificazioni periodiche dei sistemi di climatizzazione anche per gli edifici esistenti.

Nuova modifica la troviamo l’anno successivo con l’entrata in vigore del D.Lgs 311/2006 che prevedeva l’obbligo di certificazione degli edifici esistenti con scadenze:

  • luglio 2007 – edifici superiori a 1.000 mq;
  • luglio 2008 – edifici anche inferiori a 1.000 mq;
  • luglio 2009 – edifici singoli onerandoli anche in ragione dei i passaggi di proprietà.
  • Con questa introduzione dell’A.C.E. (Attestato Certificazione Energetica) e poi A.P.E. (Attestato di Prestazione Energetica), venivano vietati, in assenza di certificazione energetica, i passaggi di proprietà.

Compravendite: il ruolo dei certificati energetici

Il limite, come spesso nelle prassi italiane, ha iniziato a inficiare progressivamente i passaggi di proprietà e i cittadini hanno risposto abbastanza positivamente fin da subito. All’inizio, infatti, si è continuato a vendere, rimandando negli atti di compra-vendita il problema all’acquirente che, avvertito del certificato mancante, dopo la ristrutturazione e comunque prima di utilizzare l’immobile, si preoccupava di tale aspetto al momento opportuno e a lui più congeniale.

Nel tempo, forse sotto la spinta delle nuove direttive tese al miglioramento del risparmio energetico anche per gli edifici ristrutturati, l’A.P.E. diventava, forse per prassi, cogente, alienando, la possibilità di compravendere senza questo attestato.

Si fa notare che, prima dell’avvento di questo certificato, si è sempre compravenduto quando si poteva tenere conto della “giusta provenienza” di un immobile, dichiarando per gli edifici post 1967 giusta o errata conformità della preesistenza, anche se spesso confusa con la conformità catastale, che invece non è mai probante.

In caso fossero stati evidenziati problemi di conformità urbanistico-edilizia, l’acquirente, lasciando eventuali problematiche penali in capo al venditore, si assumeva, oneri e rischi anche in base ad una possibile ordinanza di demolizione.

Gli aggiornamenti al D.Lgs. n.192/2005

La legge 90 del 2013 è seguita da vari decreti attuativi modificanti calcoli e relazioni tecniche, definendo schemi e regole per l’A.P.E. e aggiornando il D. Lgs 192/2005.

Sulla spinta della Direttiva 31/2010/UE, viene varato infatti il D. Lgs 63/2013 convertito in Legge 90/2013 attuata attraverso altri decreti attuativi del 2015 che evidenziano i requisiti minimi, la Certificazione Energetica e la Relazione Tecnica.

L’A.P.E. diventa un documento fondamentale anche per accedere ai fondi e agli incentivi.

Dal 2020 si assiste a 4 nuovi provvedimenti legislativi di attuazione ed altre 2 direttive europee riguardanti la prestazione degli edifici, modificando ancora una volta il D. Lgs 192/2005 e si pone così l’efficienza energetica come postulato inderogabile, ad eccezione di alcuni pochi casi. Si introduce anche la possibilità di deroga urbanistica finalizzata al risparmio energetico.

Cosa impone la Direttiva Europea “CASA GREEN”

La Direttiva “Casa Green” è ormai certo che verrà varata a breve, anche se ha subito rallentamenti per la disamina dei molti emendamenti presentati che potrebbero ancora modificare la versione finale delle varie bozze che sono state stilate per l’arrivo prossimo della sua emanazione.

Impone che tutti gli Stati membri dell’E.U. si preoccupino di:

  1. far modificare gli edifici nuovi e in fase di trasformazione passando da Sistemi di riscaldamento alimentati a combustibili fossili a Sistemi di riscaldamento alimentati da energie rinnovabili ovvero da energie di tipologia ibrida;
  2. far istallare impianti funzionanti attraverso energie rinnovabili su edifici differenti dai residenziali, con l’esclusione, per ora, di edifici in cui la fattibilità verrà dimostrata non idonea all’istallazione per motivazioni di ordine tecnico;
  3. modificare tutti gli edifici entro il 2035 o in deroga entro il 2040 per la trasformazione degli impianti alimentati da combustibili tradizionali a Sistemi caratterizzati da energie alternative;
  4. modificare tutti gli edifici residenziali per adeguarli alla classe E entro il primo gennaio 2030;
  5. modificare tutti gli edifici residenziali per adeguarli alla classe D entro il primo gennaio 2033;
  6. modificare tutti gli edifici residenziali per adeguarli alla classe A entro il 2050.

Per il momento sono previste eccezioni, per i punti 4, 5, 6, già evidenziati in questo paragrafo, ovvero si escludono, per adesso, unità immobiliari singole di mq inferiori a 50, edifici vincolati e ricadenti in alcune zone vincolate e gli edifici destinati al Culto.

Il provvedimento riguarda anche le condizioni d’esercizio. Tali passaggi dovrebbero essere obbligatori per tutto il territorio dell’Unione.

Costi di realizzazione degli interventi e valori ipotizzati dalla Direttiva Case Green

I costi, sempre che sia fattibile a livello tecnico il salto delle classi, sono sempre aleatori data l’unicità di ogni immobile e ogni caso deve essere studiato singolarmente. I parametri, le caratteristiche intrinseche, ma anche estrinseche, non permettono ad avviso del sottoscritto, di stimare costi anche in via di massima. Certo è che se si generalizza, consultando anche enti diversi che stimano tale situazione futura, non considerando gli immobili nuovi o recenti o che sono stati già revisionati in base alle norme sugli incentivi, la cifra più probabile generalizzata potrebbe variare da un minimo di 20.000 euro ad un massimo di 80.000 euro. Questa condizione verrebbe ammortizzata solo in un tempo medio-lungo.

Effetti possibili dall’applicazione della Direttiva Case Green

Sembrerebbe che l’Europa voglia inserire una nuova patrimoniale che si aggiungerebbe all’I.M.U. Guardando anche al mercato, per la vendita o l’affitto di un immobile non provvisto di A.P.E. per le caratteristiche energetiche, diminuirebbe il valore degli immobili non ristrutturati o costruiti durante il boom edilizio a vantaggio delle porzioni nuove o ristrutturate e quindi dotate di classe adeguata.

L’acquirente, a prescindere dai veti imposti da eventuali normative emesse dagli Stati membri, premessi gli attuali costi delle bollette, individuerebbe nel valore ascendente specifico del risparmio energetico, finora poco considerato in sede di stima, il parametro fondamentale che farebbe aumentare il valore dell’intera proprietà di molto.

Incongruenze determinate dalla direttiva “Case Green” in Italia

Tornando alla storia delle principali tappe normative sempre più dinamiche, questa direttiva, che sarà a breve varata, alla quale seguirà normativa cogente italiana, sotto l’aspetto del diritto privato e urbanistico, potrebbe procurare altri disallineamenti al patrimonio edilizio più di quanto non ha fatto il procedimento riferito al Bonus 110%.

Il rilievo dello stato di fatto, infatti, effettuato per realizzare il progetto del risparmio energetico, si presenta oltre agli altri Enti preposti, anche al Comune e non ci stanchiamo mai di ricordare che il progetto amministrativo è finora, sempre l’unico documento probante la preesistenza edilizia. Data la precarietà e la difficoltà in alcuni Comuni di reperire progetti e tenuto conto delle difformità storiche degli edifici italiani rispetto ai progetti di realizzazione degli stabili, condoni, autorizzazioni, DIA, SCIA, procedure per altro troppo spesso modificate in un tempo medio, si potrebbero riscontrare disassamenti, tra i progetti energetici e il rilievo dello stato di fatto attuale di un immobile.

Questo aspetto, più di altri, in riferimento agli immobili post ’67, potrebbe inficiare la vendita successiva, o potrebbe innescare ripercussioni in nome di abusi edilizi commessi in epoca precedente e mai sistemati.

APE non adeguata: cosa cambia con la Direttiva Green

Altro aspetto particolare che si legge dalla bozza della Direttiva, è riferito ai divieti di compravendita di un immobile di cui l’A.P.E. non evidenzi una classe energetica adeguata. Questo aspetto riguardante l’abitabilità e quindi la congruenza di un immobile alla sua fruizione, sembra essere confuso con la possibilità di possederlo. Finora, l’A.P.E. attuale che viene chiesto dai notai, non ha inficiato sulla vendita. Se tale documento serve per indicare la classe dell’immobile compravenduto e non la giusta provenienza, ha mero valore informativo.

Perché mai la classe dovrebbe inficiare una vendita, quando riguarda un problema di abitabilità? L’immobile dovrebbe essere venduto, con l’ammonizione di divieto di abitarlo, fino a che non venga messo a norma come avviene per un immobile collabente o come dovrebbe essere per un immobile difforme di cui si avverte l’acquirente che dovrà operare delle modifiche per fruirne. Secondo quanto si legge nella direttiva la proprietà viene confusa con la fruizione.

La Direttiva “Casa Green” e il problema tecnico degli immobili italiani.

Si rammenta che tale Direttiva è stata concepita al Nord Europa e che normalmente ci sono differenze morfologiche alle volte importanti e che balconi, aggetti, superfetazioni, aggregazioni, materiali di finitura possono creare difficoltà supplementari alla coibentazione degli stabili italiani, rispetto alle verticalità più diffuse e molte volte prive di aggetti delle case del Nord Europa. Suddette differenze potrebbero svantaggiare i Paesi Mediterranei, tra i quali l’Italia rispetto ai Paesi del Nord in merito al lavoro e ai costi necessari per ottenere classi energetiche ottime o eccezionali.

Le possibili modifiche alla normativa di adeguamento

Premessa l’indiscussa necessità e gradimento delle innovazioni in materia di risparmio energetico, ci si augura:

  • una tolleranza maggiore della direttiva definitiva almeno per gli Stati che si affacciano sul Mediterraneo, ovvero che il Parlamento italiano riesca a mediare con una normativa cogente più “mite” rispetto a quanto si legge nella bozza della direttiva prossima all’approvazione; si spera ancora in un testo unico non modificabile per il lungo tempo che semplifichi anche in questo settore il groviglio di normative già troppo gremito di regole e prassi;
  • una differenziazione tra fruizione e diritto di proprietà;
  • fondi specifici che aiutino i proprietari a far fronte a queste nuove spese.

Se non si procederà ad una mitigazione e chiarificazione, rimarrebbero le solite deroghe che potrebbero essere giustificate da difficoltà architettoniche, artistiche e dichiarazioni di collaborazione forzata da opere troppo costose per i bilanci dei cittadini italiani e che potrebbero rilevarsi non fattibili per la gran parte del patrimonio edilizio.

Claudio Camilleri

Architetto. Professore di “Estimo ed Esercizio della Professione” presso l’Università di Camerino

Claudio Camilleri

Architetto. Professore di "Estimo ed Esercizio della Professione" presso l'Università di Camerino