Riempimento di cave con rifiuti: ecco perché non si può parlare di discariche

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Su Ambiente&Sicurezza sul lavoro n.12/2018, Andrea Quaranta (Environmental Risk and crisis manager) torna sulla ordinanza del Consiglio di Stato n. 1382/2015 dove il Consiglio di Stato, evidenziando la differenza fra le fattispecie di “recupero ambientale di rifiuti” e di smaltimento rifiuti e “discarica di rifiuti”, chiarisce come – nell’ipotesi di “riempimento dei vuoti di cava con rifiuti diversi dai rifiuti di estrazione” – l’elemento dirimente, ai fini dell’individuazione del corretto regime autorizzatorio, è dato dalla tipologia di rifiuti utilizzati per il riempimento de quo”.
L’articolo tratta il successivo parere della Corte di Giustizia Europea a seguito della questione pregiudiziale alla Corte di Giustizia Europea.
L’articolo completo è disponibile sulle pagine di Ambiente&Sicurezza sul Lavoro.

Nell’articolo “Riempimento di cave: quale normativa applicabile?“, pubblicato sulle pagine di INSIC, abbiamo ripercorso le principali tappe dell’ordinanza del Consiglio di Stato n. 1382/2015, con la quale i giudici di Palazzo Spada avevano posto una questione pregiudiziale alla Corte di Giustizia Europea, per chiederle se il riempimento di vuoti di cava con rifiuti diversi da quelli di estrazione debba sempre essere sottoposta alla normativa in materia di discariche.
In estrema sintesi, la causa riguardava una società operante nel settore edile, che aveva presentato un ricorso al TAR per chiedere l’annullamento di una nota di un dirigente provinciale concernente la comunicazione d’inizio attività di recupero rifiuti non pericolosi e l’accertamento dell’obbligo, in capo all’Amministrazione, d’iscrizione della società ricorrente nel Registro delle Imprese che effettuano attività di recupero ex art. 206, comma 3, dello stesso decreto.
La società aveva presentato una domanda per l’ampliamento della cava depositando:
– un piano di coltivazione;
– un piano di gestione rifiuti ex D.Lgs. n. 117/2008, e
– un progetto esecutivo per il recupero ambientale delle aree interessate dall’attività estrattiva in questione.

In particolare, nell’ultimo progetto era previsto lo scoprimento delle aree non ancora oggetto di coltivazione contemporaneamente alle operazioni di recupero ambientale delle aree già sfruttate.
L’ampliamento della cava veniva autorizzato, con espresso condizionamento alla realizzazione delle opere di recupero delle aree di cava in oggetto, secondo le modalità previste dal progetto.
La controversia riguardava essenzialmente la definizione del regime autorizzatorio cui l’attività di riempimento di cave dismesse doveva soggiacere:
secondo il giudice di primo grado, l’attività di riempimento della cava esaurita doveva qualificarsi come un’attività di recupero ambientale (attività, dunque, sottratta alla disciplina di cui al testo unico ambientale, D.Lgs. n. 152/06);
di diverso avviso la Provincia, secondo la quale l’art. 10, comma 3 del D.Lgs. n. 117/08 e l’art. 10 par. 2 della Direttiva 2006/21, imporrebbero il rispetto delle disposizioni del D.Lgs. 36/2003, che disciplina le discariche di rifiuti e non del D.Lgs. 152/2006.

L’articolo analizza anche il parere della Corte di Giustizia Europea sul caso prospettato.

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Redazione InSic

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