Fornitura attrezzature a terzi: responsabilità e orientamenti giurisprudenziali

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Un abbonato alla rivista Ambiente&Sicurezza sul lavoro chiede di sapere i riferimenti normativi o sentenze in merito alla responsabilità civile e penale in caso di fornitura di attrezzature a terzi. Nello specifico, il quesito proposto riguarda i dipendenti di un’azienda che si occupa di inventari che utilizzano le scale di un’altra azienda. In caso di infortunio chi ne risponde?
Risponde l’Avv. Maurizio Prosseda, Consulente esperto in Sicurezza e Prevenzione

Secondo l’Esperto
In merito al quesito posto sarebbe necessario, in via preliminare, conoscere con esattezza la tipologia di rapporto contrattuale in essere con l’azienda che effettua gli inventari.
Ipotizzando tuttavia che si tratti di un contratto d’appalto, come sembrerebbe, trova innanzitutto applicazione l’art. 26 del D.Lgs. 81/08 con tutti gli obblighi connessi, quali ad esempio la qualificazione del fornitore, la redazione del DUVRI e, anche nelle ipotesi in cui questo non sia obbligatorio, l’adempimento in ogni caso degli obblighi di collaborazione, cooperazione ai fini della sicurezza dei lavoratori ed alla informazione comunque dovuta sui rischi collegati alle attività appaltate.
Sul caso particolare della fornitura di attrezzature a terzi, l’art. 23 del D.Lgs. 81/08 (obblighi dei fabbricanti e dei fornitori) sancisce che: “1. Sono vietati la fabbricazione, la vendita, il noleggio e la concessione in uso di attrezzature di lavoro, dispositivi di protezione individuali ed impianti non rispondenti alle disposizioni legislative e regolamentari vigenti in materia di salute e sicurezza sul lavoro.
2. In caso di locazione finanziaria di beni assoggettati a procedure di attestazione alla conformità, gli stessi debbono essere accompagnati, a cura del concedente, dalla relativa documentazione”.

È del tutto evidente come nel caso oggetto del quesito, il datore di lavoro risulta essere sia committente che fornitore, con evidenti ripercussioni in termini di sanzioni e responsabilità, sia penali che civili.
A tal riguardo valga, come criterio di riferimento, il contenuto di una recentissima decisione della Corte di Cassazione (Sez. 4 Penale, 01 agosto 2016, n. 33629) in tema di infortunio del dipendente della cooperativa appaltatrice per mancata segregazione degli organi del macchinario in movimento di proprietà della società committente, sentenza questa che conferma l’orientamento giurisprudenziale in materia: “…detto macchinario era nella piena disponibilità di… (committente) anche se sullo stesso lavoravano dipendenti della cooperativa appaltatrice, quale era per l’appunto il G.M.; gravava dunque sulla società committente l’obbligo di provvedere alla manutenzione del macchinario e di mettere a disposizione dei lavoratori un macchinario conforme ai criteri prevenzionistici degli infortuni sul lavoro… indubbia era stata dunque la difettosa manutenzione del macchinario e, conseguentemente, la responsabilità dell’imputata che, quale legale rappresentante… (committente), era garante della sicurezza dei lavoratori; la… (committente), proprio in considerazione della sua posizione di garanzia, avrebbe dovuto accertarsi della sicurezza del macchinario e, una volta rilevata la difettosità dello stesso (a motivo della riferita “fessura”, constatabile anche sulla base di un mero esame visivo), avrebbe dovuto far sì che lo stesso fosse messo in sicurezza”.
Un altro profilo di responsabilità del committente, è stato sempre collegato alla violazione dell’obbligo di “alta vigilanza” che questi comunque mantiene proprio durante l’esecuzione dell’appalto.

A tal riguardo, nella citata sentenza i giudici, confermando l’orientamento giurisprudenziale in materia, rilevano come: ” … alla luce di tali circostanze era indubbio un preciso obbligo di cooperazione e di coordinamento tra la società committente e la cooperativa appaltatrice proprio perché i lavori venivano eseguiti da dipendenti della cooperativa su macchinari, dei quali aveva la effettiva e sostanziale disponibilità (anche sotto il profilo della manutenzione e del funzionamento) la società committente; conseguentemente era onere, anche di quest’ultima, verificare che tutte le misure prevenzionistiche fossero in concreto rispettate…; in tal senso era onere della… (committente) non soltanto la predisposizione e redazione dei necessari documenti ed l’espletamento delle attività informative e formative dei lavoratori, ma anche la realizzazione di tutte quelle attività dirette ad accertare che l’effettiva applicazione di quanto teoricamente predisposto e quindi che le istruzioni impartite fossero rispettate dai lavoratori… in altri termini la… (committente) avrebbe dovuto svolgere una alta vigilanza, che nel caso di specie era invece purtroppo mancata; detto obbligo di alta vigilanza non era venuto meno per il solo fatto che nel contratto di appalto era stato attribuito alla cooperativa la direzione delle lavorazioni ed il controllo e la vigilanza su di esse, proprio perché si trattava di lavori che comunque attenevano direttamente all’uso del macchinario, che era non soltanto di proprietà ma anche nella disponibilità manutentiva della committente; era questo comunque un profilo di colpa che si aggiungeva a quello concernente la cattiva manutenzione del macchinario in esame…”.

Naturalmente, a fronte della responsabilità penale consegue inevitabilmente anche quella civile (pure in termini di rivalsa INAIL) e potrebbero trovare applicazione altresì le pesanti sanzioni previste dal D.Lgs. 231/01 in tema di responsabilità amministrativa da reato degli Enti.
Certamente le indicazioni della Suprema Corte possono essere utili per prevenire (o quantomeno attenuare) ogni situazione di rischio nella fattispecie in esame.

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Redazione InSic

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