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Direttiva UE n. 2022/2011: protezione dati personali in ambito giustizia

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Pubblicata, sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea del 18 febbraio 2022, la Direttiva (UE) n. 2022/211 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 16 febbraio 2022 che modifica la decisione quadro 2002/465/GAI del Consiglio per quanto riguarda l’allineamento alle norme dell’Unione in materia di protezione dei dati personali.

In particolare la Direttiva ha per oggetto il trattamento dei dati personali a norma della decisione quadro 2002/465/GAI che comporta il trattamento, lo scambio e il successivo utilizzo delle informazioni pertinenti per le finalità di cui all’articolo 82 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE) in tema di cooperazione giudiziaria in ambito penale.

Protezione dei dati in ambito giustizia

In considerazione del cambiamento del quadro normativo europeo in materia di protezione dei dati personali nello specifico settore della giustizia, il provvedimento comunitario sancisce che ai fini di coerenza e di un’efficace protezione dei dati personali, il trattamento dei dati personali a norma della decisione quadro 2002/465/GAI deve essere conforme alla direttiva (UE) 2016/680.

Direttiva (UE) 2016/680 e trattamento dei dati

Di conseguenza i dati personali contenuti nelle informazioni legalmente ottenute da una squadra investigativa comune possono essere trattati per finalità diverse da quelle per le quali la squadra è stata costituita, quali i successivi procedimenti penali o i relativi procedimenti amministrativi o civili ovvero il controllo parlamentare, solo alle condizioni stabilite dalla direttiva (UE) 2016/680.

Direttiva (UE) 2016/680: articolo 4, paragrafo 2

Nello specifico il trattamento deve essere svolto in conformità dell’articolo 4, paragrafo 2 il quale dispone che il trattamento da parte di un titolare del trattamento per una qualsiasi delle finalità di prevenzione, indagine, accertamento e perseguimento di reati o esecuzione di sanzioni penali, incluse la salvaguardia e la prevenzione di minacce alla sicurezza pubblica diversa da quella per cui sono raccolti i dati personali, è consentito nella misura in cui:

a) il titolare del trattamento è autorizzato a trattare tali dati personali per detta finalità conformemente al diritto dell’Unione o dello Stato membro;

b) il trattamento è necessario e proporzionato a tale altra finalità conformemente al diritto dell’Unione o dello Stato membro.

Direttiva (UE) 2016/680: articolo 9, paragrafi 1 e 2

Inoltre il trattamento deve essere svolto anche in conformità dell’articolo 9, paragrafi 1 e 3, della Direttiva 2016/680. I dati personali raccolti dalle autorità competenti per le finalità di cui sopra non possono essere quindi trattati per finalità diverse. A meno che tale trattamento non sia autorizzato dal diritto dell’Unione o dello Stato membro.
Qualora i dati personali siano trattati per tali finalità diverse, si applica il regolamento (UE) 2016/679, a meno che il trattamento non sia effettuato nell’ambito di un’attività che non rientra nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione.
In aggiunta, secondo quanto previsto dalla norma richiamata, gli Stati membri dispongono che, nei casi in cui il diritto dell’Unione o dello Stato membro applicabile all’autorità competente che trasmette i dati preveda condizioni specifiche per il trattamento, l’autorità competente che trasmette i dati deve informare il destinatario dei dati personali di tali condizioni e dell’obbligo di rispettarle.

Il rispetto dei sistemi di controllo giudiziari tra gli Stati membri

Si ricorda che nel 1999 il Consiglio europeo di Tampere del 15-16 ottobre affrontava il problema di superare i tradizionali limiti della cooperazione interstatuale, investigativa e giudiziaria, specialmente nel contrasto alla criminalità organizzata di tipo mafioso, alla lotta contro il terrorismo internazionale e ai cosiddetti cross-border crimes, autorizzando gli Stati membri ad avviare, svolgere o coordinare indagini, ovvero ad istituire squadre investigative comuni per alcuni settori di criminalità, rispettando i sistemi di controllo giudiziari tra gli Stati membri.

Il contrasto alla cooperazione fra gruppi criminali di nazionalità diverse

Oggi, infatti, la criminalità organizzata si connota per il ricorso a forme sempre più sofisticate di cooperazione fra gruppi criminali di nazionalità diverse, finalizzata alla gestione di mercati criminali comuni.

È sufficiente richiamare l’attenzione sulle modalità operative delle organizzazioni criminali transnazionali dedite al traffico di stupefacenti e di armi, alla tratta di esseri umani, alla pedopornografia, al terrorismo, alla criminalità informatica per rilevare come il potenziamento e l’affinamento delle sinergie criminali su scala internazionale, con il conseguente frazionamento delle correlate attività delittuose in Paesi sottoposti a diverse giurisdizioni nazionali, costituisce un oggettivo freno alla capacità investigativa degli organi inquirenti.

L’istituzione di squadre investigative comuni

Pertanto, la repressione dei reati aventi dimensioni sovranazionali necessita della diretta partecipazione degli organi titolari dell’azione penale all’attività di indagine da svolgere sul territorio di uno Stato estero.

L’Unione europea ha disciplinato l’istituzione di squadre investigative comuni di questo tipo, dapprima con la convenzione di Bruxelles del 29 maggio 2000, e successivamente con la decisione quadro n. 2002/465/GAI del Consiglio, adottata il 13 giugno 2002 alla quale nostro paese ha dato attuazione con il decreto legislativo 15 febbraio 2016, n. 34.

Cosa succede in Italia

Al di là dell’evidente necessità di recepire nell’ordinamento interno i suddetti indirizzi comunitari ed internazionali, va osservato che l’approvazione di una normativa che consenta l’istituzione in Italia di squadre investigative comuni riveste un carattere di particolare opportunità alla luce dell’allargamento dell’Unione europea e del conseguente aumento della libertà di circolazione delle persone e dei beni a livello continentale.

Attraverso le squadre investigative comuni non si tratta più di prevedere misure di coordinamento tra organi inquirenti dei diversi Stati, bensì di individuare uno specifico ambito di azione comune che consenta di operare nei diversi Stati, direttamente e in tempi reali, senza la penalizzazione di ostacoli di carattere formale.

Squadre investigative comuni: per quali indagini

Le squadre investigative comuni vengono, infatti, costituite quando si procede a indagini relative ai delitti per i quali è prevista la pena dell’ergastolo o della reclusione superiore nel massimo a cinque anni, in coerenza con il limite edittale di ammissibilità delle intercettazioni di conversazioni o di comunicazioni, previsto dall’articolo 266 del codice di procedura penale.

Va tuttavia osservato che la decisione quadro non prevede una delimitazione del novero dei reati per i quali è possibile attivare la procedura di costituzione delle squadre investigative comuni.

Altri reati per i quali si prevede lo strumento investigativo europeo

Ne consegue che, al di fuori delle specifiche ipotesi di cui al comma 1, al comma 2 si consente il funzionamento del nuovo strumento investigativo europeo anche in relazione ad altri reati, qualora l’autorità procedente operi una valutazione, questa volta caso per caso ed in concreto, in ordine alla sussistenza dei presupposti richiesti dalla decisione quadro, delineati dall’articolo 1 capoverso, lettere a) e b), che si riferisce a indagini “difficili e di notevole portata che hanno un collegamento con altri Stati membri” e che esigano “un’azione coordinata e concertata”.

Adesso spetta ai singoli Stati dell’Unione europea recepire la Direttiva in questione entro l’11 marzo 2023.

Dell’autore consulta i volumi EPC Editore

Michele Iaselli

Avvocato, funzionario del Ministero della Difesa, docente a contratto di informatica giuridica all’Università di Cassino e collaboratore della cattedra di informatica giuridica alla LUISS ed alla Federico II.  Presidente dell’Associazione Nazionale per la Difesa della Privacy (ANDIP). Relatore di numerosi convegni, ha pubblicato diverse monografie e contribuito ad opere collettanee in materia di privacy, informatica giuridica e diritto dell’informatica con le principali case editrici.
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Michele Iaselli

Avvocato, funzionario del Ministero della Difesa, docente a contratto di informatica giuridica all’Università di Cassino e collaboratore della cattedra di informatica giuridica alla LUISS ed alla Federico II.  Presidente dell’Associazione Nazionale per la Difesa della Privacy (ANDIP). Relatore di numerosi convegni, ha pubblicato diverse monografie e contribuito ad opere collettanee in materia di privacy, informatica giuridica e diritto dell’informatica con le principali case editrici. Scopri tutte le pubblicazioni di Michele Iaselli edite da EPC Editore