Inquinamento elettromagnetico: si riferisce solo ai limiti di esposizione?

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Il quesito presentato alla Banca Dati Sicuromnia riguarda la configurazione del reato di “Getto pericoloso di cose” per l’inquinamento elettromagnetico: si fa riferimento solo al superamento dei limiti di esposizione o all’offensività delle onde elettromagnetiche? A rispondere Rocchina Staiano Docente in Diritto della previdenza e delle assicurazioni sociali ed in Tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro all’Univ. Teramo


Il Quesito
In tema d’inquinamento elettromagnetico, il reato di cui all’art. 674 c.p. (Getto pericoloso di cose) è configurabile solo in base al mero superamento, da provare oggettivamente, dei limiti d’esposizione o dei valori d’attenzione previsti dalle norme speciali (D.M. ambiente 10 settembre 1998 n. 381; D.P.C.M. 8 luglio 2003) oppure occorre anche l’idoneità delle onde elettromagnetiche ad offendere o molestare persone?


Secondo l’Esperto
È giuridicamente possibile e corretta l’interpretazione che inquadri il fenomeno della emissione e della propagazione di onde elettromagnetiche nella fattispecie dell’art. 674 c.p., perché tale inquadramento costituisce il risultato di una mera interpretazione estensiva della disposizione e non di una (non consentita in campo penale) applicazione analogica.
Vanno fatte due osservazioni preliminari.
In primo luogo, è pacifico e non contestato che il criterio da adottare non è quello soggettivo ma quello oggettivo, in base al quale la legge va interpretata non secondo la volontà storica del legislatore che l’ha promulgata, ma secondo il senso proprio ed oggettivo delle parole che compongono la disposizione, interpretate nel momento in cui la stessa deve essere applicata ed alla luce del sistema normativo vigente in tale momento. È nozione comune, del resto, che il significato di ogni norma dell’ordinamento giuridico è condizionato da tutte le altre norme che in quel dato momento compongono l’ordinamento stesso. Nell’interpretare il disposto dell’art. 674 c.p., quindi, non ci si può limitare a considerare solo lo stretto significato letterale delle espressioni usate dal legislatore dell’epoca o il solo complesso delle norme all’epoca vigenti, ma occorre valutare l’intero sistema normativo vigente al momento in cui la disposizione deve essere applicata, per cercare di individuare una volontà oggettiva ed attuale del legislatore ricavabile appunto da tutto l’ordinamento, ed in particolare da tutte le altre norme che, direttamente o indirettamente, riguardano la materia su cui verte l’ art. 674 c.p..
Da ciò però deriva che, se è vero che non ci si può sicuramente riferire alla volontà storica del legislatore del 1930 ed al sistema normativo dell’epoca, è anche vero che nemmeno ci si può riferire alla volontà oggettiva ricavabile dal sistema normativo vigente, ad esempio, dieci anni fa, ma deve aversi riguardo appunto al sistema attuale. Quindi, così come è possibile che il significato da attribuire alla disposizione di cui all’ art. 674 c.p., nel 1930 non sia lo stesso da attribuirle nel 1999, allo stesso modo ben potrebbe essere possibile che tale significato sia diverso oggi e potrebbe ancora essere diverso in futuro, qualora siano cambiate o cambino le altre norme del sistema che possano influenzarlo.
Gli altri elementi del sistema normativo, da cui può ricavarsi una oggettiva volontà del legislatore condizionante il significato dell’art. 674 c.p., sono soprattutto due: in primo luogo, l’interpretazione che deve darsi nel suo complesso all’intera disposizione di cui all’ art. 674 c.p., in tutte e due le ipotesi ivi previste; in secondo luogo, l’eventuale introduzione di normative speciali che possano dimostrare una volontà oggettiva dell’ordinamento di disciplinare in modo diverso la materia in esame.
D’altra parte, un eventuale mutamento di significato dell’art. 674 c.p., nel diritto vivente e l’introduzione di nuove normative di settore, sono rilevanti sotto un duplice profilo. Innanzitutto perché da esse potrebbe ricavarsi una volontà oggettiva attuale del legislatore nel senso che l’emissione di onde elettromagnetiche non possa ora comunque farsi rientrare nel significato della espressione “gettare cose”. In secondo luogo perché, quand’anche sulla base di una interpretazione estensiva di tale espressione possa darsi ad essa un significato che comprenda anche l’emissione di onde elettromagnetiche, potrebbe però verificarsi che si giunga a dar luogo ad un sistema normativo del tutto incongruo ed irrazionale, che imponga quindi di non attribuire il detto significato alla stregua di una interpretazione adeguatrice, o costituzionalmente orientata.
La seconda osservazione preliminare è che, proprio a seguito delle modifiche intervenute nel sistema normativo con l’introduzione di una legislazione speciale, non sembra che possa continuare ad attribuirsi valore decisivo, come criteri ermeneutici, al principio di precauzione ed alle finalità di tutela di cui all’art. 32 Cost., Questo principio e queste finalità, infatti, risultano attualmente tutelati, con un alto livello di protezione (forse ancor più efficace della contravvenzione in esame), attraverso la previsione di limiti di esposizione e di valori di attenzione e la configurazione del loro superamento come fatto sicuramente illecito, punito con un articolato sistema di sanzioni e rimedi amministrativi. Devono invece essere tenuti nel dovuto conto i principi, anch’essi di valore costituzionale, di tipicità e di determinatezza delle fattispecie penali, di necessaria offensività del reato, di soggezione del giudice alla legge, nonché il principio generale del divieto di analogia in materia penale.
In conclusione, deve ritenersi che, anche nel caso di emissione di onde elettromagnetiche, il reato di getto pericoloso di cose è configurabile soltanto allorché sia stato, in modo certo ed oggettivo, provato il superamento dei limiti di esposizione o dei valori di attenzione previsti dalle norme speciali e sia stata obiettivamente accertata una effettiva e concreta idoneità delle emissioni ad offendere o molestare le persone esposte, ravvisabile non in astratto per il solo superamento dei limiti, ma soltanto a seguito di un accertamento, da compiersi in concreto, di un effettivo pericolo oggettivo e non meramente soggettivo (Cass. civ., sez. II, 23 gennaio 2007, n. 1391).

I parametri per le onde elettromagnetiche
Come è noto, i parametri normativi di riferimento sono attualmente stabiliti dal D.M. Ambiente 10 settembre 1998, n. 381 (Regolamento recante norme per la determinazione dei tetti di radiofrequenza compatibili con la salute umana)’, dal D.P.C.M. 8 luglio 2003, (recante Fissazione dei limiti di esposizione, dei valori di attenzione e degli obiettivi di qualità per la protezione della popolazione dalle esposizioni ai campi elettrici e magnetici alla frequenza di rete (50 Hz) generati dagli elettrodotti), il quale ha abrogato il precedente D.P.C.M. 23 aprile 1992 (recante Limiti massimi di esposizione ai campi elettrico e magnetico generati alla frequenza industriale nominale (50 Hz) negli ambienti abitativi e nell’ambiente esterno); e dal C.P.C.M. 8 luglio 2003 (recante Fissazione dei limiti di esposizione, dei valori di attenzione e degli obiettivi di qualità per la protezione della popolazione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici generati a frequenze comprese tra 100 kHz e 300 GHz).
Per i fatti anteriori deve invece farsi riferimento (anche ai sensi dell’art. 16 della L. n. 36 del 2001) alle norme contenute nel D.P.C.M. 23 aprile 1992 e succ. modif., nel D.P.C.M. 28 settembre 1995, nonché al già ricordato D.M. Ambiente 10 settembre 1998, n. 381, attuativo dell’art. 1 della L. 31 luglio 1997, n. 249.
La normativa speciale prevede dei limiti di esposizione e dei valori di attenzione“. In particolare, i “limiti di esposizione” sono intesi come valori efficaci, ossia i valori di immissione, definiti ai fini della tutela della salute da effetti acuti, che non devono essere superati in alcuna condizione di esposizione; mentre i “valori di attenzione” rappresentano misure di cautela e sono i valori che non devono essere superati negli ambienti abitativi, scolastici e nei luoghi adibiti a permanenze prolungate, ed in particolare sono predisposti “a titolo di misura di cautela per la protezione da possibili effetti a lungo termine eventualmente connessi con le esposizioni ai campi generati alle suddette frequenze all’interno di edifici adibiti a permanenze non inferiori a quattro ore giornaliere, e loro pertinenze esterne, che siano fruibili come ambienti abitativi quali balconi, terrazzi e cortili esclusi i lastrici solari” (art. 3 della L. n. 36 del 2001; del secondo dei suddetti D.P.C.M. 8 luglio 2003, art. 3).
Per l’eventuale integrazione della contravvenzione di cui all’art. 674 c.p.c, è dunque in ogni caso necessario che sia oggettivamente provato, con le dovute modalità, il superamento dei suddetti limiti di esposizione o dei valori di attenzione.

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