Obblighi giuridici del RSPP: tra consulenza e responsabilità penale

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Partendo dall’analisi di una recente sentenza della Cassazione (n. 7172 del 13 marzo 2019), l’articolo di Alessio Giuliani (Collaboratore della cattedra di diritto del lavoro, Sapienza Università di Roma – Facoltà di Giurisprudenza) su Ambiente&Sicurezza sul Lavoro n.6/2019 riporta l’attenzione sul ruolo del Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione, il quale pur svolgendo all’interno della struttura aziendale un ruolo non gestionale ma di consulenza, ha l’obbligo giuridico di adempiere diligentemente l’incarico affidatogli. In relazione a tale compito può essere infatti chiamato a rispondere, quale garante, degli eventi che si verifichino per effetto della violazione dei suoi doveri.

Di seguito un estratto dall’articolo, disponibile per abbonati alla rivista Ambiente&Sicurezza sul lavoro

La Suprema Corte, con la pronuncia n. 7172 del 13 marzo 2019, fornisce degli spunti interessanti circa la posizione e il ruolo del Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione (RSPP), ed evidenzia l’importanza dell’attività di studio dei rischi e di ricerca di soluzioni tecniche ad hoc svolta da quest’ultimo e, più in generale, della normativa della sicurezza sul lavoro, ai fini del raggiungimento degli “obiettivi aziendali”.
Già la Corte d’Appello di Reggio Calabria aveva posto la fondamentale premessa che «la sicurezza sul lavoro, preordinata alla realizzazione di esigenze di rango costituzionale ineliminabili, costituisce un obiettivo non meramente strumentale, ma essenziale per l’azienda».
Il caso è quello di un dipendente di Trenitalia S.p.A., al quale si era sì riconosciuta l’elevata professionalità, ma che era stato inquadrato nel livello D, non interessato dalla riconduzione a qualifica superiore in virtù delle funzioni di garanzia svolte. Premesso il rigetto delle eccezioni di inammissibilità e di manifesta infondatezza, con accoglimento parziale della domanda proposta, la Corte dichiarava il diritto dell’appellante alla qualifica superiore di “Professional livello B” a partire dal 1° ottobre 2008 e – di conseguenza – il diritto alla maggiorazione retributiva. L’argomento decisivo faceva leva proprio sulla carica di garante che il lavoratore aveva assunto, in qualità di RSPP, con l’importante precisazione che lo svolgimento di «attività di studio, progettazione, pianificazione e attuazione operativa finalizzate al conseguimento degli “obiettivi aziendali”» non possono intendersi «in una prospettiva strettamente economicistica» (la redazione del DVR ne è l’emblema).

La Corte di Cassazione, con sentenza di rigetto, esprime principi valutativi su natura e scopi delle attività espletate dall’RSPP nel contesto aziendale, messe in relazione alla qualifica assegnata.
Questi assume una posizione di consulente del datore di lavoro, attività «non contemplata dalla declaratoria del livello D (tecnici specializzati) che riguarda i lavoratori che espletano, “con margini di autonomia discrezionalità nell’ambito di procedure ed istruzioni ricevute”, attività richiedenti un “elevato livello di conoscenza nonché professionalità e competenze tecniche, specialistiche, commerciali e o gestionali o che hanno un contenuto professionale di maggior rilievo, finalizzate alla realizzazione di processi produttivi”». Il giudice di legittimità opta per un “bilanciamento”: conferma la riconducibilità della posizione ricoperta al livello B, intermedio tra quello di inquadramento D e il livello A richiesto dal prestatore di lavoro in sede di appello.
In effetti l’RSPP assume una posizione di garante di un’accurata valutazione dei rischi insiti nell’attività lavorativa, implicante il possesso di «capacità, esperienze e conoscenze che esulano dalle ordinarie competenze affidate ad un lavoratore che espleta attività tecniche, ancorché connesse ad un elevato livello di esperienza e professionalità». È una questione di buon senso e giuridica al tempo stesso, perché il Responsabile – come opportunamente esplicitato dalla Corte – è chiamato a rispondere insieme al datore di lavoro «ogni qual volta l’infortunio sia oggettivamente riconducibile ad una situazione pericolosa che avrebbe avuto l’obbligo di conoscere e segnalare al datore di lavoro, con la conseguenza che il reato di lesioni colpose è procedibile d’ufficio ai sensi del terzo comma dell’art. 590 cod. pen.».1.

Riferimenti bibliografici
Obblighi giuridici del RSPP: tra consulenza e responsabilità penale
Alessio Giuliani
Ambiente&Sicurezza sul lavoro n.6-7/2019

Sulla Banca Dati Sicuromnia anche il testo completo della sentenza commentata.
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