Per Ustica un morto in più

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Qualche tempo fa presso un Aeroporto nei pressi di Roma avvenne l’ennesimo incidente mortale e per qualche giorno fu riportato anche dai giornali locali.
Una mattina, durante le operazioni di montaggio di un hangar in elementi metallici prefabbricati, un giovane operaio di una ditta subappaltatrice decedeva per arresto cardiocircolatorio dopo essere rimasto politraumatizzato a causa di una caduta da ben 25 metri di altezza durante il montaggio della struttura.

Quello però che i giornali non avevano riportato era che l’hangar era stato urgentemente commissionato e costruito perchè indispensabile per ricoverare i frammenti ed i numerosi resti del DC9 precipitato ad Ustica.
Il cantiere era stato anche visitato due giorni prima dell’evento da un paio di ispettori “locali” che avevano notato delle carenze “avvertendo” verbalmente i responsabili di “sistemarle” rapidamente…ma pur potendo, non avevano formalmente redatto un verbale (forse pensando, dato il contesto, che si sarebbe rapidamente provveduto).

Evidentemente l’azienda non aveva ottemperato a tale “invito bonario” ed infatti all’esito della rituale ispezione tecnica dopo l’incidente, si rilevò che il piano di sicurezza redatto a cura del coordinatore della commessa – come spesso accade- non conteneva tutte le condizioni operative in modo da rendere edotti gli addetti ed il loro preposto. Nello stesso piano non erano state indicate le misure di sicurezza in riferimento al tipo ed allo stato di avanzamento dei lavori ed inoltre lo stesso prevedeva, in modo assai generico, l’uso di cinture di sicurezza senza entrare in dettaglio ed indicarne tipo, caratteristiche, organi di vincolo e tutti gli altri elementi necessari per il loro corretto utilizzo.
Al punto che fu ipotizzata la violazione della normativa penale nei confronti del soggetto che era stato identificato come “capocommessa” e del Direttore del Cantiere. La stessa ipotesi veniva però espressa nei confronti del geometra Capocantiere per non aver adottato misure di sicurezza sia in riferimento alle supplenze e carenze di cui sopra che alla mancata installazione ed utilizzazione della rete di protezione (che era installata in zona dove i lavori erano terminati e non era stata spostata nella zona ove i lavori erano in corso e si è verificato l’incidente). L’ipotesi di responsabilità veniva rafforzata – secondo l’ispezione – dal fatto che nella lettera di incarico a lui affidata, il capocantiere aveva, tra l’altro, anche la possibilità di sospendere i lavori.
Al capocantiere, inoltre, veniva contestata la mancanza di misure d sicurezza, l’obbligo della cintura di sicurezza. Insomma tale norma era stata chiaramente violata dal capocantiere in quanto al momento dell”infortunio non erano state poste in essere idonee misure sostitutive. Dopo una serie di rinvii si giungeva quindi dopo qualche anno al processo penale. Il capocantiere perveniva ad un patteggiamento mentre alla fine dell’iter processuale ed una serie di udienze e testimonianze, sia il capo-commessa che il Direttore dl Cantiere venivano condannati.
La pena ritenuta all’epoca equa fu di 4 mesi di reclusione e 100 euro equivalenti di multa, secondo i giudici ritenuti equi per “retribuire” quelle colpe e “dissuadere” ulteriori similari eventi.
Che – purtroppo – non si sono giovati – evidentemente – di tale “esemplare” (?) condanna e quindi si sono ripetuti negli anni successivi. Insomma, il potere dissuasivo della pena era talmente scarso che gli imprenditori non sono sempre incentivati a praticare una più attenta sicurezza ed i costi e le penalizzazioni correlati agli infortuni non costituiscono evidentemente un deterrente sufficente. Questo ancor oggi.

Una squadra di professionisti editoriali ed esperti nelle tematiche della salute e sicurezza sul lavoro, prevenzione incendi, tutela dell’ambiente, edilizia, security e privacy. Da oltre 20 anni alla guida del canale di informazione online di EPC Editore

Redazione InSic

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