In merito alle modalità di individuazione della responsabilità di una contaminazione, la giurisprudenza amministrativa è costante nell’affermare che “in materia ambientale, l'accertamento del nesso fra una determinata presunta causa di inquinamento ed i relativi effetti […] si basa sul criterio del «più probabile che non», ovvero richiede che il nesso eziologico ipotizzato dall'autorità competente sia più probabile della sua negazione” (cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV, 21 febbraio 2023 n. 1776).
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Nesso di causalità e onere della prova
Per poter presumere l'esistenza di un siffatto nesso di causalità, dunque, “l’autorità competente deve disporre di indizi plausibili in grado di dar fondamento alla sua presunzione, quali la vicinanza dell'impianto dell'operatore all'inquinamento accertato e la corrispondenza tra le sostanze inquinanti ritrovate e i componenti impiegati da detto operatore nell'esercizio della sua attività. Quando disponga di indizi di tal genere, l'autorità competente è allora in condizione di dimostrare un nesso di causalità tra le attività degli operatori e l'inquinamento diffuso rilevato" (Corte di Giustizia UE, n. 534 del 2015; cfr. anche, in precedenza, la decisione del 9 marzo 2010, in causa C - 378/08).
La prova può, quindi, essere data “in via diretta o indiretta, ossia, in quest'ultimo caso, l'amministrazione pubblica preposta alla tutela ambientale può avvalersi anche di presunzioni semplici di cui all'art. 2727 c.c.” (Consiglio di Stato, Sez. V, 16 giugno 2009, n. 3885) e il soggetto individuato come responsabile, inoltre, “non può limitarsi a ventilare genericamente il dubbio circa una possibile responsabilità di terzi" ma deve "provare e documentare con pari analiticità la reale dinamica degli avvenimenti e indicare a quale altra impresa, in virtù di una specifica e determinata causalità, debba addebitarsi la condotta causativa dell'inquinamento” (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza n. 5668 del 2017).