La Corte di Cassazione Penale affronta il tema della responsabilità del preposto in occasione di un infortunio mortale, imputabile all’uso del carrello elevatore con prassi contraria rispetto a quanto previsto dal DVR. La sentenza analizza i doveri di vigilanza, la gestione delle prassi scorrette e l’obbligo di segnalazione al datore di lavoro, ribadendo i limiti e le responsabilità penali che ricadono su questa figura chiave della prevenzione.
- Il fatto: la dinamica dell’infortunio e il ruolo del carrello elevatore
- Le contestazioni ai preposti e la conferma della condanna in appello
- Le ragioni del ricorso: prassi scorrette e condotta abnorme del lavoratore
- Il quadro normativo: obblighi del preposto ex art. 19 D.Lgs. 81/08
- La decisione della Cassazione: causalità della colpa e mancata vigilanza
- Prassi aziendali scorrette e dovere di segnalazione al datore di lavoro
- La sentenza finale: ricorsi inammissibili e condanna alle spese
- Strumenti e risorse per l’approfondimento
Il fatto: la dinamica dell’infortunio e il ruolo del carrello elevatore
Secondo la ricostruzione operata dai giudici, il lavoratore Tizio decedeva a seguito di schiacciamento tra il carrello elevatore manovrato da E.E., privo di relative patente e abilitazione, e un bus guasto presente in officina, dopo essersi posta la persona offesa tra i due mezzi per verificare il posizionamento delle forche del carrello rispetto alla traversa anteriore del pullman.
Trattasi di sinistro avvenuto durante l’attività intrapresa dalla persona offesa per spostare il bus all’interno dell’officina aziendale, spingendolo mediante l’utilizzo del detto mezzo inidoneo e con procedura contraria a quella contemplata nel Documento di valutazione rischi (sotto la voce: “Segnalazione Guasti Autobus”).
Il D.V.R., redatto con la collaborazione dell’imputato B.B., prevedeva difatti il coinvolgimento di due lavoratori, ma con l’utilizzo di un carro attrezzi ed esplicitamente vietava di eseguire l’operazione di spostamento di veicoli guasti all’interno di aree aziendali mediante spinta eseguita tramite le forche del carrello elevatore.
Le contestazioni ai preposti e la conferma della condanna in appello
Per tali fatti la Corte d’Appello conferma la condanna in primo grado di A.A., vicecapo officina, e di B.B., responsabile del settore manutenzioni-approvvigionamento, in qualità di preposti per "A. M.. Spa, per l’omicidio colposo di un lavoratore alle dipendenze della detta società, commesso con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, in cooperazione colposa con il lavoratore E.E. addetto al piazzale adibito al deposito dei bus.
I due preposti ricorrono avverso la sentenza, con atti distinti, peraltro fondanti su motivi sostanzialmente sovrapponibili.
Le ragioni del ricorso: prassi scorrette e condotta abnorme del lavoratore
Con il primo motivo, A.A., in considerazione dell’imputazione, descrivente uno specifico e non generico uso del carrello elevatore, critica la Corte territoriale per aver ritenuto irrilevante accertare l’effettiva dinamica dell’infortunio; in particolare, se avvenuto a seguito dello spostamento del bus tramite carrello elevatore ma utilizzato al fine di tirare il pullman, come da scorretta prassi diffusa, ovvero al fine di alzarlo in ragione dell’essersi bloccate le ruote (come ritenuto dal primo giudice) ovvero ancora per spingerlo.
Il D.V.R. vietava di spingere i bus tramite il carrello elevatore ma l’accertata scorretta prassi invalsa era diversa, consistendo nel traino mediante carrello elevatore; ne conseguirebbe per il ricorrente l’impossibilità di imputare all’imputato, quale preposto, l’omessa vigilanza sul rispetto della corretta procedura prevista nel D.V.R. e la mancata comunicazione al datore di lavoro di una prassi scorretta, ma diversa rispetto a quella altrettanto scorretta, ma effettivamente invalsa.

