Responsabilità degli enti: è applicabile alle holding e alle società estere?

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Su Ambiente&Sicurezza sul lavoro n.2/2019, Roberta Veloce (Avvocato – Cultrice di diritto della sicurezza del lavoro) analizza, nell’ambito della responsabilità amministrativa degli enti derivante da reato, due temi che rivestono grande interesse riguardano i reati commessi all’interno del gruppo societario, nonché i reati commessi dalle società straniere operanti nel territorio italiano.
L’articolo – partendo dall’esame dei requisiti ascrittivi del reato all’ente – propone un’analisi della normativa di riferimento e indica gli orientamenti dottrinali e giurisprudenziali.

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La normativa in materia di responsabilità amministrativa degli enti per i reati commessi nel suo interesse o a suo vantaggio, disciplinata con il d.lgs. 231 del 2001, ha omesso la trattazione del fenomeno delle società di gruppo. Nel silenzio del legislatore, pertanto, la lacuna normativa è stata nel tempo colmata da un’ampia elaborazione giurisprudenziale.
Quanto invece alla dimensione internazionale del fenomeno, il legislatore ha regolamentato l’ipotesi del reato presupposto posto in essere all’estero dalla società con sede principale nel territorio italiano, con l’art. 4 d.lgs. 231 del 2001. Non è espressamente disciplinato il caso in cui sia un soggetto societario con sede all’estero a dover rispondere per i reati commessi nel territorio italiano dai suoi soggetti qualificati.

È necessario esaminare, preliminarmente, i requisiti ascrittivi del reato all’ente.
Costituiscono oggetto di responsabilità solo i reati-presupposto rilevanti, espressamente previsti dal decreto 231, il cui novero è stato notevolmente ampliato, commessi nell’interesse o a vantaggio dell’ente, da soggetti in posizione apicale ovvero subordinata.
L’ente risponde del reato proprio commesso dal soggetto agente, in forza del rapporto di immedesimazione organica tra il management aziendale e l’ente, in linea con il precetto costituzionale del divieto di responsabilità penale per fatto altrui previsto dall’art. 27 Cost.
Il criterio oggettivo di responsabilità esprime due concetti distinti e non sovrapponibili: l’interesse ed il vantaggio. Molteplici sono state le interpretazioni ermeneutiche. Attualmente, risulta pacifico l’orientamento accolto, da dottrina e giurisprudenza, che identifica nell’interesse il profilo soggettivo-finalistico dell’azione delittuosa, da accertare ex ante, potendo anche essere solo potenziale, ed il vantaggio nell’utilità oggettiva, da valutare ex post, successivamente alla commissione dell’evento.

Quanto al profilo dei reati presupposto, con l.d. 123 del 2007 è stato esteso il catalogo ai reati colposi (omicidio colposo e lesioni gravi o gravissime) commessi con violazione delle norme prevenzionistiche in materia di salute e sicurezza sul lavoro, ai sensi dell’art. 25 septies del d.lgs. 231 del 2001.
Dubbi interpretativi sono stati sollevati sulla possibile conciliazione dei requisiti dell’interesse e del vantaggio perseguito dall’ente con la commissione di reati colposi, come quelli in materia antinfortunistica. La giurisprudenza si è espressa ritenendo che il presupposto per la responsabilità dell’ente deve essere accertato valutando se la condotta colposa, che ha determinato l’evento morte o lesioni gravi o gravissime, sia stata determinata da scelte volte al ribasso nella gestione e nell’organizzazione in materia di sicurezza con conseguente abbattimento dei costi e delle spese nonché ottimizzazione dei profitti e continuazione dell’attività d’impresa . Dunque, l’interesse ed il vantaggio non riguardano l’evento, bensì la condotta illecita con cui sono state omesse le misure prevenzionistiche che hanno reso possibile la consumazione del reato. L’evento lesivo, certamente non voluto e non vantaggioso, in questo modo, è ascritto all’ente poiché derivante dalla violazione di regole cautelari poste a tutela della salute e sicurezza dei lavoratori .
Di recente, la giurisprudenza di legittimità ha ribadito che il presupposto della responsabilità degli enti è da identificarsi nel “vantaggio economico indiretto, costituito dal risparmio dei costi non sostenuti, che la società ha tratto dalla mancata adozione delle misure di sicurezza richieste dalla legge per la prevenzione di infortuni sul lavoro” .

Quanto all’imputazione della responsabilità all’ente, il legislatore ha creato il concetto della cd. colpa di organizzazione, consistente nella mancata adozione di specifici modelli di organizzazione e gestione idonei a prevenire la commissione di determinati reati, nonché nella omessa o insufficiente vigilanza sul rispetto degli stessi da parte degli organismi deputati al controllo.
La normativa persegue l’obiettivo di una ottimale organizzazione aziendale interna al fine di prevenire la commissione di reati.

Riferimenti bibliografici:
Responsabilità degli enti derivante da reato è applicabile alle holding e alle società estere?
Roberta Veloce
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Redazione InSic

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