Cassazione: carcinoma polmonare e analisi dei fattori scatenanti

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La Corte di Cassazione, Sez. Lav., con sent. n. 6105 del 26 marzo 2015, ha accolto il ricorso degli eredi di un lavoratore di una acciaieria di Taranto deceduto per un carcinoma polmonare, riconoscendo l’esistenza del nesso causale tra l’attività lavorativa e la malattia contratta, in virtù dell’applicazione del principio dell’equivalenza delle condizioni (art 41 cp.).

Il Fatto
Un dipendente di un’acciaieria di Taranto era deceduto in seguito a carcinoma polmonare e cardiopatia ischemica, dopo aver prestato la sua attività lavorativa per oltre vent’anni.
Gli eredi decidevano di ricorrere in primo grado contro l’Inail, chiedendo il riconoscimento in loro favore della rendita ai superstiti per la morte del congiunto, dovuta a malattia professionale, per il fatto che il de cuius aveva prestato la propria attività lavorativa nel reparto acciaieria, rimanendo “giornalmente e continuativamente esposto a fumi, polveri, inquinanti, acidi, veleni e sostanze cancerogene quali catrame, acido cianidrico, acido solforico, amianto, ammoniaca”. Gli eredi avevano ottenuto, in primo grado, l’accoglimento delle proprie pretese grazie al riconoscimento della malattia professionale e del pagamento della rendita per i superstiti.
L’Inail aveva deciso di ricorrere alla Corte di Appello di Lecce, che aveva accolto il ricorso affermando che la causa della morte era legata all’abitudine del fumo di trenta sigarette al giorno e non all’esposizione a fattori di rischio connessi all’attività lavorativa. Gli eredi avevano dunque proposto ricorso in Cassazione.

Il Parere della Corte
In tema di nesso causale tra attività lavorativa e malattia professionale, la Corte ha affermato che, per giurisprudenza consolidata (Cass. n. 23990/2014, n. 23207/2014, Cass. n. 14770/2008; Cass. n. 13361/2011), si applica il principio dell’equivalenza delle condizioni dell’art. 41 cp. tra evento e danno, secondo il quale “va riconosciuta l’efficienza causale ad ogni antecedente che abbia contribuito, anche in maniera indiretta e remota, alla produzione dell’evento, mentre solamente se possa essere con certezza ravvisato l’intervento di un fattore estraneo all’attività lavorativa, che sia di per sé sufficiente a produrre l’infermità tanto da far degradare altre evenienze a semplici occasioni, deve escludersi l’esistenza del nesso eziologico richiesto dalla legge”.
Secondo i giudici della Cassazione, la Corte d’Appello di Lecce non avrebbe correttamente applicato il principio dell’equivalenza delle condizioni per l’aver riconosciuto la compresenza di due cause, quella del fumo e quella dell’esposizione alle polveri, rilasciando affermazioni non adeguatamente motivate e generiche, quali appunto “mentre è certo che fumare trenta sigarette al giorno rende altamente probabile il rischio di contrarre un carcinoma polmonare, non altrettanto può dirsi quanto alle polveri indicate nell’atto introduttivo, anche perché non è stato indicato né accertato il quantitativo di esse e, come visto, il periodo di esposizione lavorativa non pare sia stato particolarmente lungo”.
Per questa ragione, la Corte ha ritenuto la motivazione insufficiente e contraddittoria, in quanto solo nel caso in cui si ravvisi l’intervento di un fattore estraneo all’attività lavorativa, che sia di per sé sufficiente a produrre l’infermità tanto da far degradare altre evenienze a semplici occasioni, deve escludersi l’esistenza del nesso eziologico richiesto dalla legge.
La Corte d’Appello avrebbe dovuto considerare l’attività lavorativa svolta dal lavoratore proprio con riguardo ai fattori nocivi e in relazione alla malattia contratta. Pertanto, la Cassazione ha accolto il ricorso e rinviato alla Corte d’Appello di Bari.

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Redazione InSic

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