Il Tar Sicilia, sez. II, con la sentenza n. 100 del 15 gennaio 2015 ha accolto il ricorso della società di telecomunicazione che si era vista sospendere l’autorizzazione alla realizzazione di un impianto per telefonia cellulare, per non aver provveduto a richiedere la concessione edilizia.
Il collegio ha ritenuto che sulla base della normativa vigente all’epoca dei fatti fosse necessaria esclusivamente una DIA (denuncia di inizio attività) e non una concessione edilizia in quanto gli impianti di telecomunicazione non sono assimilati alle normali costruzioni edilizie.
Il fatto
Una società operante nel settore della telecomunicazione, ha presentato ricorso contro il Comune di Bagheria che aveva annullato un’autorizzazione che prevedeva la realizzazione di un impianto per telefonia cellulare.
Il Comune sosteneva che per l’installazione di stazioni radio base fosse necessario il rilascio di un’apposita concessione edilizia e la sottoposizione ad opportune procedure di valutazione di impatto ambientale; oltre al dovere di comunicazione di avvio del procedimento nei confronti dei soggetti che abitavano in prossimità dell’immobile su cui doveva essere installata la stazione radio base. Tali requisiti, secondo il Comune, non sarebbero stati rispettati dalla società di telecomunicazione.
La decisione del Tar Sicilia
Il collegio, ai fini della decisione, ha esaminato il quadro normativo vigente all’epoca dei fatti per l’installazione di stazioni radio base del servizio di telefonia cellulare GSM e UMTS.
Il D.Lgs. 198/2002, entrato in vigore in data precedente al rilascio dell’autorizzazione, conteneva disposizioni volte ad accelerare il processo di realizzazione delle infrastrutture di telecomunicazione strategiche e qualificava le stazioni radio base per reti di telecomunicazione mobili GSM/UMTS come opere di urbanizzazione primaria compatibili con qualsiasi destinazione urbanistica, le quali potevano essere realizzate in ogni parte del territorio comunale, anche in deroga agli strumenti urbanistici, come disposto dall’art. 3 del D.Lgs. 198/2002.
Per l’installazione degli impianti UMTS con potenza in singola antenna uguale o inferiore a 20 watt, l’art.5 del D. Lgs. n.198 del 2002 richiedeva la DIA (denuncia di inizio attività) con la facoltà di iniziare i lavori dopo 90 giorni dalla richiesta, nel caso non ci fosse stato il diniego dell’amministrazione.
Successivamente il D.Lgs. 198/2002 è stato dichiarato incostituzionale ed è stato introdotto il DL 315/2003 che, all’art. 4, ha confermato il regime della DIA per la realizzazione di impianti con tecnologia UMTS.
I procedimenti autorizzatori
Il collegio ha ritenuto fondato il ricorso della società evidenziando che, ai sensi del D.Lgs. 198/2002, non era necessaria la concessione edilizia richiesta dal comune perché l’art. 5, comma 2, prevedeva che per la realizzazione delle infrastrutture di telecomunicazione strategiche fosse sufficiente la denuncia di inizio attività.
A questo proposito, il Tar di Napoli, con la sentenza n. 4206/2003, aveva ritenuto illegittime le determinazioni comunali che imponevano differenti tipologie di procedimenti, quale l’assoggettabilità di determinate attività a concessione edilizia, anziché a denuncia di inizio attività per contrasto con le prescrizioni nazionali.
Con l’entrata in vigore del D.Lgs. n. 259/2003 il quadro normativo non ha subito modifiche sostanziali o procedimentali in quanto l’art. 87 ha previsto un unico procedimento autorizzatorio per l’installazione delle infrastrutture di comunicazione elettronica.
Con le sent. n. 129/2006 e n. 265/2006 la Corte Costituzionale ha chiarito che il fine della norma fosse quello di garantire, tramite procedure tempestive e semplificate, la parità delle condizioni concorrenziali fra i diversi gestori, e l’osservanza di livelli uniformi di compatibilità ambientale delle emissioni radioelettriche “stante che l’intento perseguito dal legislatore comunitario e da quello nazionale è quello di consentire l’installazione di stazioni radio base in forza di un unico provvedimento autorizzatorio, che deve essere rilasciato sulla base di un procedimento unitario, nel contesto del quale devono essere fatte confluire le valutazioni sia di tipo ambientale che di tipo urbanistico”.
Per quanto riguarda la disposizione prevista all’art. 86 del D.lgs. n. 259/2003, che assimila le infrastrutture di reti pubbliche di comunicazione alle opere di urbanizzazione primaria, il Tar della Sicilia ha ritenuto che “gli impianti di telefonia mobile non possano essere assimilati alle normali costruzioni edilizie e, pertanto, la loro realizzazione non sia soggetta a prescrizioni urbanistico-edilizie preesistenti” in quanto “si riferiscono a tipologie di opere diverse e sono state elaborate con riferimento a possibilità di diverso utilizzo del territorio, nell’inconsapevolezza del fenomeno della telefonia mobile e, più in generale, dell’inquinamento elettromagnetico”.
Sulla base di queste considerazioni, il collegio ha concluso per ritenere che “il titolo autorizzatorio non può essere negato se non avuto riguardo ad una specifica disciplina conformativa, che prenda in considerazione le reti infrastrutturali tecnologiche necessarie per il funzionamento del servizio pubblico” (in tal senso, Cons. Stato, sez. VI, 17 ottobre 2003, n. 7725; TAR Campania, sez. I, 13 febbraio 2002, n. 983, 20 dicembre 2004, n. 14908).
Infine il Collegio ha osservato che l’art. 3, comma 1, del D.Lgs. 198/2002 disponeva che le categorie di infrastrutture di telecomunicazioni, considerate strategiche, fossero opere di “interesse nazionale“, e che, al contrario, l’art. 90 del vigente D.Lgs. n. 259/2003 disponeva che gli impianti in questione e le opere accessorie occorrenti per la loro funzionalità avessero “carattere di pubblica utilità”.
Da questo confronto il Tar ha dedotto che gli impianti in questione potessero essere ubicati in qualsiasi parte del territorio comunale, essendo compatibili con tutte le destinazioni urbanistiche (così come disposto dal Cons. Stato, sez. VI, 4 settembre 2006, n. 5096).
La valutazione dell’impatto ambientale
Per quanto riguarda la censura del Comune sulla necessità di valutare l’impatto ambientale, il Tar Sicilia ha affermato che la normativa vigente all’epoca dei fatti non la richiedeva.
Invece, per la mancata comunicazione dell’avvio del procedimento nei confronti dei cittadini residenti in prossimità dell’impianto, il collegio ha affermato che le infrastrutture di telecomunicazioni strategiche erano considerate di interesse nazionale e quindi non era necessaria tale comunicazione.
Circa l’obiettivo del Comune di tutelare la salute in qualità di interesse pubblico, il Collegio ha affermato che il principio di precauzione deve trovare fondamento in elementi concreti di pericolosità per la salute quali appunto le valutazioni scientifiche realizzate sulla base di dati esistenti o almeno la mancanza di certezza scientifica che escluda la presenza di rischi identificati.
Secondo il collegio, il Comune non ha dimostrato l’esistenza di un pericolo concreto per la salute e quindi la misura precauzionale adottata non troverebbe giustificazione perché l Comune avrebbe dovuto effettuare una verifica conseguente all’attivazione dell’impianto da cui si doveva evincere il superamento dei livelli e dei limiti di esposizione alle emissioni elettromagnetiche fissate dal legislatore nazionale, cosa che non è avvenuta perché l’impianto non è stato attivato.
Per tali ragioni il Tar Sicilia ha accolto il ricorso della società di telecomunicazione e ha annullato l’ordinanza che negava l’autorizzazione per la realizzazione di un impianto per telefonia cellulare.
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