"Gli obblighi di sicurezza previsti dal D.Lgs. n. 81 del 2008, artt. 26 e
90, gravano esclusivamente sul committente, da intendersi come colui che ha
stipulato il contratto d'opera o di appalto, anche se non proprietario del bene
che si avvantaggia delle opere affidate, mentre nessuna responsabilità è
configurabile a carico del proprietario non committente che non si sia ingerito
nell'esecuzione delle opere, pur in assenza di una delega di
funzioni.
Sono tratti a giudizio, tra gli altri, i due proprietari
dell'immobile sul quale un elettricista, nel corso di lavori di ristrutturazione
di detto immobile, nel riordinare gli attrezzi di lavoro, restava folgorato dal
contatto con una prolunga non a norma, perché priva di presa e collegata
direttamente alla rete elettrica a bassa tensione.
Si contesta ai
due committenti il fatto di non aver designato il coordinatore per la
progettazione e per l'esecuzione dei lavori e di non aver verificato l'idoneità
tecnico-professionale delle imprese e dei lavoratori autonomi
incaricati.
E' accolto soltanto il ricorso di uno dei due
proprietari dell'immobile. Non basta, secondo la Suprema Corte, desumere la
qualifica di committente dal verbale di contravvenzione indirizzato
dall'Ispettorato del lavoro ad entrambi i coniugi. Questo dato, in sé, non ha
"alcun significativo elemento probatorio, quale, ad esempio, la gestione delle
pratiche amministrative o il pagamento dei professionisti o imprenditori, che,
unitamente dal dato formale della proprietà ed ai rapporti di affinità con
l'altro committente, potesse dimostrare l'assunzione effettiva e sostanziale del
ruolo di committente"."
(a cura di S. Casarrubia)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. IZZO Fausto - Presidente -
Dott. CIAMPI Francesco Maria - Consigliere -
Dott. DOVERE Salvatore - Consigliere -
Dott. DAWAN Daniela - Consigliere -
Dott. PICARDI Francesca - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
C.G., nato a (OMISSIS);
L.I.P., nato a (OMISSIS);
P.F., nato a (OMISSIS);
G.G., nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 11/04/2018 della CORTE APPELLO di MESSINA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. FRANCESCA PICARDI;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dr. ROMANO
GIULIO, che ha concluso chiedendo il rigetto per C., G., P. e per l'annullamento
senza rinvio per L.I..
E' presente l'avvocato FRISENDA SIGNORINA, del foro di MESSINA in difesa di:
PARTI CIVILI. Chiede la conferma della sentenza impugnata deposita conclusioni e
nota spese.
E' presente l'avvocato DI MAURO GAETANA, del foro di CATANIA in difesa di:
PARTI CIVILI. Chiede il rigetto dei ricorsi deposita conclusioni e nota
spese.
E' presente l'avvocato SCARCELLA ANTONIO, del foro di MESSINA in difesa
di:
L.I.P. e P.F.. Chiede l'accoglimento del ricorso.
E' presente l'avvocato CASADIBARI MARIANNA, foro di BARI come sostituto
processuale con delega depositata in aula dell'avv. SILVESTRO SALVATORE, del
foro di MESSINA in difesa di: C.G.. Chiede l'accoglimento del ricorso.
E' presente l'avvocato CAROE' GIOVANNI, del foro di MESSINA in difesa di:
G.G.. Chiede l'accoglimento del ricorso.
Fatto
1. La Corte di Appello di Messina ha
confermato la sentenza di primo grado con cui C.G., in qualità di datore di
lavoro, L.I.P. e P.F., in qualità di committenti, G.G., in qualità di
elettricista incaricato di eseguire lavori elettrici nell'immobile, sono stati
condannati alla pena di due anni di reclusione, con il doppio beneficio della
sospensione condizionale e della non menzione, ed al risarcimento del danno, da
liquidarsi in sede civile ( L.I.P., P.F., G.G. in favore di C.G. e C.G., L.I.P.,
P.F., G.G. in favore di S.M., C.A., C.E., Ca.Ad., con previsione di
provvisionale) per il reato di cui all'art. 113 c.p. e art. 589 c.p., comma 2,
in relazione al D.Lgs. n. 81 del 2008, artt. 80, 90 e 96, per avere cagionato in
data 13 agosto 2009, con condotte negligenti, imprudenti e imperite e non
conformi alla normativa in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, il
decesso di Ca.Ga., il quale, nel corso di lavori di ristrutturazione di un
immobile, nel riordinare gli attrezzi di lavoro, restava folgorato dal contatto
con una prolunga non a norma, perchè priva di presa e collegata direttamente
alla rete elettrica a bassa tensione dell'immobile - in particolare C.G. con
colpa consistita nel non avere redatto il piano operativo di sicurezza, nel non
aver valutato il rischio elettrico e nel non aver adottato misure idonee a
ridurlo o eliminarlo (ad esempio, installazione di un quadro elettrico a
servizio del cantiere, dotato dell'interruttore differenziale magneto-termico e
collegato elettricamente a terra); L.I.P. e P.F. con colpa consistita nel non
aver designato il coordinatore per la progettazione e per l'esecuzione dei
lavori e nel non aver verificato l'idoneità tecnico-professionale delle imprese
e dei lavoratori autonomi incaricati; G.G. con colpa consistita nell'aver
realizzato un impianto elettrico gravemente carente, privo di ogni più
elementare dispositivo di sicurezza, quali il salvavita e il imitatore
magnetotermico.
2.Avverso tale sentenza hanno proposto tempestivamente ricorso per
cassazione, a mezzo del proprio difensore, gli imputati C.G., L.I.P., P.F.,
G.G..
3. C.G. ha dedotto: 1) la mancanza, illogicità e contraddittorietà della
motivazione e l'errata applicazione della legge penale in ordine agli artt. 113
e 589 c.p. atteso che il giudice dell'impugnazione, nel riportarsi alla sentenza
gravata, non ha distinto i ruoli e le responsabilità dei coimputati e non ha
risposto alle specifiche censure formulate in appello relativamente alla
situazione dell'impianto elettrico al momento della valutazione di rischi, da
parte del datore di lavoro, considerato che tutte le prese elettriche erano
dotate di salvavita, tranne quella esterna posta vicino al frigorifero, da cui è
derivato l'infortunio, e relativamente all'insussistenza dell'obbligo, in capo
al datore di lavoro, di aggiornare la valutazione dei rischi in caso di
intervento di una nuova impresa sul luogo di lavoro (obbligo posto dal D.Lgs. n.
81 del 2008, art. 90, comma 3, solo in capo al coordinatore); 2) la mancanza,
illogicità e contraddittorietà della motivazione e l'errata applicazione della
legge penale in ordine all'art. 62-bis c.p., in quanto i giudici di merito, pur
ritenendo attenuata la colpa di C.G., alla luce del rapporto genitoriale con la
vittima, non hanno operato alcuna diversificazione nella quantificazione della
pena rispetto agli altri coimputati.
4. L.I.P. e P.F. hanno dedotto: 1) la mancanza, illogicità e
contraddittorietà della motivazione e la violazione di legge in ordine agli
artt. 351, 360 e 362 c.p.p., nella parte in cui il giudice di appello ha
confermato la sentenza di primo, rigettando l'eccezione di inutilizzabilità
della perizia dell'Ing. Cu., nonostante si fondi sulle dichiarazioni rese da
soggetti su cui già gravavano indizi di reità, e dell'accertamento autoptico
della Dott.ssa F., nonostante la mancata comunicazione delle operazioni peritali
nei loro confronti; 2) la mancanza, illogicità e contraddittorietà della
motivazione e la violazione di legge in ordine agli artt. 113 e 589 c.p., artt.
192 e 530 c.p.p., D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 90 e D.Lgs. n. 494 del 1996, art.
3: a) atteso che la loro condanna prescinde dall'effettivo accertamento del
nesso causale tra la loro condotta e l'evento letale, avendo i giudici di merito
aderito alle conclusioni del perito e tralasciato tutte le incongruenze
evidenziate dai consulenti (sufficiente sicurezza della sezione dell'impianto
elettrico strumentale alla zona di svolgimento dei lavori, cui erano collegate,
contrariamente a quanto asserito dal perito, tutte le prese esterne ricavate
sulla facciata della dependance e tutte le prese limitrofe tra cancello e
dependance; compatibilità della lesione toracica, con marca tribolata a giglio,
della vittima solo con una prolunga collegata a terra posta nella dependance;
erroneità delle valutazioni del perito in ordine al possibile intervento del
limitatore magnotermico in caso di allaccio alla protezione di terra
dell'impianto elettrico e del possibile intervento salvifico dell'interruttore
differenziale; mancato rinvenimento della presunta prolunga coi cavi scoperti) e
conseguentemente disatteso, in modo illogico, la possibile ricostruzione
alternativa dell'infortunio, riconducibile al contatto indiretto con la
betoniera, come ipotizzato già dai carabinieri, b) atteso che la loro condanna è
stata fondata sulla deposizione falsa e contraddittoria del teste V. e senza
tener conto della deposizione del teste Leonardi; c) atteso che non è
riscontrabile alcuna colpa in esigendo, avendo le imprese e i lavoratori
incaricati tutti i requisiti di professionalità necessari e non sussistendo, nel
caso di specie, l'obbligo di nominare il coordinatore; d) con riferimento alla
sola posizione di L.I.P., atteso che la stessa è stata erroneamente qualificata
committente, mentre era solo proprietaria dell'immobile; 3) la mancanza,
illogicità e contraddittorietà della motivazione e la violazione di legge in
ordine artt. 192, 530, 535 e 538 c.p.p., in quanto si sarebbe dovuti pervenire
all'assoluzione dei ricorrenti in considerazione dell'incertezza del quadro
probatorio e del ragionevole dubbio esistente e conseguentemente
all'annullamento delle statuizioni civili della sentenza.
5. G.G. ha dedotto: 1) la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità
della motivazione in ordine all'accertamento della propria responsabilità
penale, avvenuta in base ad una mera equazione ( G. elettricista dei lavori e,
quindi, corresponsabile della morte della vittima, determinata da una scarica
elettrica derivante da un cavo mai rinvenuto), ma senza alcuna individuazione
del proprio comportamento commissivo o omissivo idoneo a incidere sull'evento
letale, anche in considerazione dell'impossibilità di una precisa ricostruzione
della dinamica dell'infortunio, non essendosi appurato dove fosse collegato il
cavo e quale fosse l'esatta posizione della vittima, ed in considerazione della
circostanza che egli era stato incaricato solo della verifica e dell'adeguamento
alla disciplina vigente dell'impianto elettrico dell'abitazione e non degli
esterni dell'immobile; 2) il vizio di motivazione e la violazione dell'art. 2
c.p., essendo stata applicata la disciplina introdotta dal D.Lgs. n. 106 del
2009, non ancora in vigore al momento del fatto.
Diritto
1. Occorre brevemente premettere che
l'infortunio si è verificato nell'agosto del 2009 e, quindi, nella vigenza del
D.Lgs. n. 81 del 2008 e che non emergono nè dalle sentenze di merito nè dalle
allegazioni dei ricorrenti elementi fattuali significativi idonei ad escludere
l'applicazione di tale disciplina ed a radicare l'applicazione di una diversa ed
anteriore normativa, essendosi limitati i ricorrenti L.I.P. e P.F. ad invocare
il D.Lgs. n. 494 del 1996, senza alcuna specificazione e senza alcun
collegamento con i presupposti di fatto.
2. Il ricorso di C.G. non può essere accolto.
2.a. La prima censura è infondata.
Invero, il ricorrente non si confronta affatto con la completa e logica
motivazione del giudice di appello, il quale non si è limitato a rinviare alle
argomentazioni del giudice di primo grado, ma ha osservato che C.G., in qualità
di datore di lavoro del figlio, "avrebbe dovuto preventivamente sincerarsi della
sicurezza dei luoghi" e conseguentemente, una volta constate le condizioni di
insicurezza del cantiere, anche in considerazione dell'intervento di ulteriori
imprese, "avrebbe dovuto provvedere ad evitare che il giovane ( Ca.Ga.)
procedesse nell'esecuzione dei lavori o permanesse ulteriormente sui luoghi,
data la condizione di pericolo".
Nella sentenza si è anche precisato che "l'obbligo di vigilanza necessita di
un progressivo e costante aggiornamento", sicchè è irrilevante che, al momento
dell'eventuale valutazione dei rischi, le condizioni del cantiere fossero
diverse. Del resto, come ha chiarito Sez. 3, n. 4063 del 04/10/2007 uct - dep.
28/01/2008, Rv. 238539-01, in tema di prevenzione infortuni sul lavoro, integra
la violazione dell'obbligo del datore di lavoro di elaborare un documento di
valutazione dei rischi per la sicurezza e la salute durante il lavoro non
soltanto l'omessa redazione del documento iniziale, ma anche il suo mancato,
insufficiente o inadeguato aggiornamento od adeguamento, mentre i giudici di
merito hanno accertato che C.G. non ha adempiuto tale suo obbligo nè all'inizio
nè nel corso dell'esecuzione dei lavori, inadempimento di sicura rilevanza
causale, in quanto la corretta valutazione del rischio elettrico esistente
avrebbe comportato la predisposizione di maggiori cautele e impedito l'evento,
che, contrariamente a quanto asserito dal ricorrente, costituisce proprio la
concretizzazione del rischio che la norma cautelare violata mirava a
neutralizzare.
Per mera completezza va rilevato che la necessità di un coordinatore per la
progettazione e esecuzione dei lavori, in caso di interferenza di più imprese in
un cantiere e di conseguente rischio interferenziale, non esonera il datore di
lavoro dagli obblighi di protezione nei confronti dei suoi dipendenti ed in
particolare da quello di assicurarsi dell'adeguatezza e sicurezza del luogo di
lavoro.
2.b. In ordine al diniego delle generiche, il ricorrente non ha evidenziato
elementi positivi idonei a giustificare la concessione del beneficio, la cui
valutazione sia stata omessa dai giudici di merito, ma si è piuttosto limitato a
richiamare il rapporto di parentela con la vittima e, cioè, un dato del tutto
autonomo rispetto alla sua condotta, di cui, peraltro, si è tenuto conto nella
quantificazione della pena. Il giudice di appello ha, peraltro, congruamente
motivato la propria scelta in considerazione della evidente e grave situazione
di deficit di sicurezza accertata sui luoghi di verificazione del sinistro. In
proposito occorre ricordare che, in tema di attenuanti generiche, il giudice del
merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede
di legittimità, purchè sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli,
degli elementi, tra quelli indicati nell'art. 133 c.p., considerati
preponderanti ai fini della concessione o dell'esclusione (Sez. 5, n. 43952 del
13/04/2017 ud. - dep. 22/09/2017, Rv. 271269-01).
Nè può lamentarsi, nonostante il rapporto di parentela, l'eguale entità della
pena rispetto ai coimputati, che è, comunque, pienamente giustificata dalla più
significativa posizione di garanzia del datore di lavoro nei confronti della
vittima.
3. Il ricorso di P.F. è destituito di fondamento, mentre va parzialmente
accolto quello di L.I.P..
3.a. Relativamente alle eccezioni processuali, i giudici di merito hanno
utilizzato esclusivamente le parti della perizia fondate su analisi tecniche
oggettive - in particolare quelle fondate sull'esame dello stato dei luoghi e
della tipologia delle lesioni della vittima - e non quelle fondate sulle
informazioni assunte dal perito dalle persone presenti o coinvolte, per cui va
condivisa la loro conclusione relativamente alla mancata lesione de diritto di
difesa degli imputati. In proposito deve sottolinearsi che i ricorrenti non
hanno indicato alcuna conclusione fondata sulle loro dichiarazioni.
Per quanto concerne, poi, l'esame autoptico, da un lato, il ricorso non si
confronta con la posizione espressa dalla Corte di appello, che ha ritenuto non
dovuti gli avvisi delle operazioni peritali nei loro confronti, atteso che,
nonostante il sinistro sia avvenuto nella dimora dei ricorrenti, l'accusa non
era in grado all'epoca di individuare la loro posizione di garanzia, stante
l'assenza di contratti scritti, e, dall'altro lato, non individua gli specifici
elementi indiziari a disposizione dell'accusa, al momento di tale accertamento,
che potrebbero giustificare una diversa conclusione.
3.b. Le asserite contraddittorietà della perizia e conseguentemente della
motivazione dei giudici di merito circa la dinamica dell'infortunio, lamentate
dai ricorrenti nei successivi motivi, che possono essere esaminati
congiuntamente, sono insussistenti e, comunque, irrilevanti ai fini
dell'accertata responsabilità.
In particolare, la ricostruzione alternativa proposta dai ricorrenti, secondo
cui l'evento letale avrebbe avuto origine da un contatto indiretto con la
betoniera, è stata disattesa dalla Corte di appello con una motivazione congrua,
coerente e logica, fondata sulle dichiarazioni dei testi escussi R., Z., T. e
D.S., i quali hanno riferito che la macchina non presentava segni di recente
utilizzo, essendo pulita, vuota, senza acqua, in posizione di quiete, e del
teste V., che ha dichiarato che la vittima era intenta nelle operazioni di
rifinitura e pulizia del cantiere, per i quali non era necessaria la corrente
elettrica. Tale motivazione va, peraltro, integrata con le argomentazioni del
giudice di primo grado, secondo cui se la betoniera fosse stata la causa della
dispersione che ha causato l'incidente, allorchè il corpo della vittima fosse
venuto in contatto con la carcassa della macchina certamente questa avrebbe
scaricato un'enorme quantità di elettricità verso terra attraverso il piede
metallico che poggiava sul terriccio che era umido e ci sarebbe stata un'enorme
fuoriuscita di ampere verso terra che, oltre a determinare lo stacco del
limitatore magnetotermico del contatore Enel, avrebbe causato uno sfiammamento
palese del conduttore e della carcassa per effetto dell'arco voltaico,
circostanza non verificatasi".
Occorre, del resto, ricordare che sono precluse al giudice di legittimità la
rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e
l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione
dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una
migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito
(Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015 ud., dep. 27/11/2015, rv. 265482).
L'attendibilità del teste V. non risulta contestata in sede di appello e non
è, comunque, decisiva nella complessiva motivazione dei giudici di merito. Ad
ogni modo, non è sindacabile in sede di legittimità, salvo il controllo sulla
congruità e logicità della motivazione, la valutazione del giudice di merito,
cui spetta il giudizio sulla rilevanza e attendibilità delle fonti di prova,
circa contrasti testimoniali o la scelta tra divergenti versioni e
interpretazioni dei fatti (Sez. 5, n. 51604 del 19/09/2017 ud. -dep. 13/11/2017,
Rv. 271623 - 01).
3.c. La contestazione circa l'obbligo di nominare un coordinatore per la
progettazione e per l'esecuzione dei lavori è infondata, in quanto prescinde
dall'accertata presenza nel cantiere di due imprese, quella di C.G. e quella di
G.G., e si fonda sul D.Lgs. n. 494 del 1996, art. 3, già abrogato all'epoca dei
fatti, e sostituito dal D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 90, che non pone alcuna
condizione o limite a tale obbligo. Come già rilevato, i ricorrenti hanno
invocato il D.Lgs. n. 494 del 1996, art. 3 senza indicare alcun elemento di
fatto idoneo a radicare l'applicazione di tale disciplina ed, invero, non hanno
neppure escluso l'applicazione del D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 90, ma piuttosto
sostenuto la contemporanea applicazione delle disposizioni de quibus (v. p. 23
del ricorso "l'art. 113 c.p. e art. 589 c.p., comma 2, andavano letti non solo
in relazione al D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 90, commi 3 e 4 e comma 9, lett. a)
del.... Bensì in relazione anche al D.Lgs. n. 494 del 1996, art. 3, comma
3").
In proposito, può osservarsi che già l'omessa nomina del coordinatore è da
sola sufficiente a giustificare l'affermata responsabilità dei ricorrenti,
atteso che, nella ricostruzione dei giudici di merito, l'evento letale ha
costituito la concretizzazione del rischio interferenziale connesso alla
presenza di due imprese nel cantiere, essendosi verificato per le condizioni di
pericolo ingenerate dalle lavorazioni sull'impianto elettrico, da parte di una
delle due imprese, ignorate o, comunque, non adeguatamente valutate dall'altra
impresa. Ne consegue, pertanto, che l'adempimento dell'obbligo prescritto dalla
legge di nominare il coordinatore avrebbe potuto evitare l'evento, in quanto
tale tecnico avrebbe provveduto ad un'adeguata informativa e ad adottare misure
di sicurezza adeguate.
A ciò si aggiunga che, secondo la Corte di appello, i committenti non hanno
provveduto ad un'adeguata supervisione e controllo dei lavori e non sono,
quindi, intervenuti per sospendere i lavori, nonostante i rischi di natura
elettrica presenti in cantiere, come desunto dalle fotografie in atti, fossero
così evidenti da risultare immediatamente individuabili e percepibili anche ad
occhio non esperto. Va, difatti, ribadito che, in tema di prevenzione degli
infortuni sul lavoro, il committente è titolare di una posizione di garanzia
idonea a fondare la sua responsabilità per l'infortunio, sia per la scelta
dell'impresa, sia in caso di omesso controllo dell'adozione, da parte
dell'appaltatore, delle misure generali di tutela della salute e della sicurezza
sui luoghi di lavoro, essendo tuttavia esonerato dagli obblighi in materia
antinfortunistica che richiedono una specifica competenza tecnica (Sez. 4 n.
5893 del 08/01/2019 ud. -dep. 07/02/2019, Rv. 274121-01).
3.d. Per quanto riguarda, invece, L.I.P., proprietaria dell'immobile oggetto
dei lavori, la Corte di appello ha desunto il suo ruolo di committente "formale"
dal verbale di contravvenzione indirizzato dall'Ispettorato del lavoro ad
entrambi i coniugi in qualità di committenti, pur precisando che solo P.F. si è
occupato dei contatti e dei rapporti con i professionisti e con le imprese. La
motivazione in ordine alla posizione di garanzia della ricorrente risulta,
dunque, contraddittoria e manifestamente illogica, in quanto supera l'indizio
contrario indicato con l'indicazione di un dato del tutto neutro e senza
evidenziare alcun significativo elemento probatorio, quale, ad esempio, la
gestione delle pratiche amministrative o il pagamento dei professionisti o
imprenditori, che, unitamente dal dato formale della proprietà ed ai rapporti di
affinità con l'altro committente, potesse dimostrare l'assunzione effettiva e
sostanziale del ruolo di committente unitamente a P.F..
La sentenza deve, dunque, essere annullata nei confronti L.I.P., in
accoglimento esclusivamente del motivo riferito al vizio motivazionale relativo
al suo asserito ruolo di committente, con rinvio per nuovo giudizio sul punto.
Va, difatti, ribadito, come recentemente chiarito da Sez. 4 n. 10039 del
13/11/2018 ud. - dep. 07/03/2019, Rv. 275270 - 01, che gli obblighi di sicurezza
previsti dal D.Lgs. n. 81 del 2008, artt. 26 e 90 gravano esclusivamente sul
committente, da intendersi come colui che ha stipulato il contratto d'opera o di
appalto, anche se non proprietario del bene che si avvantaggia delle opere
affidate, mentre nessuna responsabilità è configurabile a carico del
proprietario non committente che non si sia ingerito nell'esecuzione delle
opere, pur in assenza di una delega di funzioni (Nella fattispecie la Corte ha
ritenuto immune da censure la sentenza che aveva escluso, in relazione
all'infortunio occorso a un lavoratore durante la ristrutturazione di
un'abitazione, la responsabilità della moglie del committente, esclusiva
proprietaria dell'immobile, che si era limitata a controllare l'effetto estetico
dei lavori).
4. Il ricorso di G.G. è infondato.
4.a. In ordine al primo motivo, deve premettersi che, nella ricostruzione
dell'infortunio effettuata dai giudici di merito, che hanno aderito alla
consulenza dell'Ing. Cu., Ca.Ga. è deceduto in conseguenza dalla folgorazione
scaturita dal contatto con una prolunga collegata ad una presa non protetta da
interruttore differenziale e la cui estremità presentava fili nudi a vista, che
ha raccolto, scambiandola con una presa del padre datore di lavoro.
Relativamente alla responsabilità di G.G., il giudice di appello ha affermato
che "a prescindere da qualsiasi obbligo di redazione del piano operativo di
sicurezza o di valutazione del rischio elettrico... e dal fatto che la proprietà
della prolunga che ha portato al decesso del C. possa essere ad egli
attribuita", il comportamento tenuto dal G., "il quale è intervenuto sul quadro
elettrico senza predisporre le dovute cautele e senza rendere noti in forma
scritta i pericoli ivi presenti e le precauzioni da adottare, data la
compresenza sui luoghi di lavoro di diversi soggetti ed operanti", ha costituito
"ragionevolmente" uno degli antecedenti causali da cui è discesa la morte del
giovane".
Contrariamente a quanto asserito dal ricorrente, vi è, dunque, una
motivazione esaustiva e non manifestamente illogica sulla propria
responsabilità, coerente, peraltro, con il D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 95, lett.
g e h, che, anche nella formulazione anteriore alla novella, stabiliva: "i
datori di lavoro delle imprese esecutrici, durante l'esecuzione dell'opera
osservano le misure generali di tutela di cui all'art. 15 e curano, ciascuno per
la parte di competenza.....: g) la cooperazione tra datori di lavoro e
lavoratori autonomi; h) le interazioni con le attività che avvengono sul luogo,
all'interno o in prossimità del cantiere". Proprio dagli obblighi di curare la
reciproca cooperazione e interazione con gli altri soggetti presenti sul
cantiere, obblighi che gravano su ciascuna impresa esecutrice, deriva l'obbligo
di fornire adeguate informazioni circa i rischi connessi alla propria attività,
dal cui inadempimento la Corte di appello ha fatto discendere la responsabilità
di G.G..
A ciò si aggiunga che, contrariamente a quanto asserito nel ricorso, il
giudice di appello ha accertato che l'incarico conferito a G. riguardava non
solo l'interno, ma anche l'esterno dell'abitazione, in cui erano già in corso
lavorazioni relative all'impianto elettrico (v. p. 10-11 della sentenza
impugnata: "Riferisce.. il V. di averlo visto in diverse occasioni nei giorni
precedenti il sinistro presso la villa L.P. - L.I.; nello specifico, precisa il
teste, questi stava provvedendo al montaggio dei faretti nella zona piscina";
"la presenza del G. in cantiere è attestata, inoltre, dalla relazione a firma
del D.S.").
4.b. Quanto alla seconda censura, può ripetersi quanto già replicato dal
giudice di appello: da un lato, non vengono in rilievo per l'imputato modifiche
introdotte dal D.Lgs. n. 106 del 2009 e, dall'altro, nel ricorso non sono state
individuate normative più favorevoli di cui si è invocata l'applicazione.
5. In conclusione, la sentenza impugnata va annullata limitatamente a L.I.P.
con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Reggio Calabria in ordine
all'effettiva assunzione del ruolo di committente. Devono, invece, essere
rigettati i ricorsi di C.G., G.G. e P.F., che vanno condannati al pagamento
delle spese processuali e delle spese di lite nei confronti delle parti civili,
liquidata come in dispositivo.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente a L.I.P. con rinvio per nuovo
giudizio alla Corte di appello di Reggio Calabria, cui demanda anche la
regolamentazione tra le parti delle spese di questo giudizio di legittimità.
Rigetta i ricorsi di C.G., G.G. e P.F., che condanna al pagamento delle spese
processuali.
Condanna C.G., G.G. e P.F. al pagamento delle spese di lite sostenute dalle
parti civili S.M., C.A., C.E., Ca.Ad., che liquida in complessivi Euro 4.000,00,
oltre accessori di legge.
Condanna G.G. e P.F. al pagamento delle spese di lite sostenute dalla parte
civile C.G., che liquida in complessivi Euro 2.500,00, oltre accessori di
legge.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli
altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52 in quanto
disposto d'ufficio e/o imposto dalla legge.
Così deciso in Roma, il 4 giugno 2019.
Depositato in Cancelleria il 31 luglio 2019