"La Corte di Cassazione decide su un ricorso avverso la
sentenza del Tribunale che aveva condannato a pena pecuniaria il direttore
tecnico per mancanza del certificato di prevenzione incendi. La Suprema Corte
respinge il ricorso motivando tra l'altro che lo stesso è "...è manifestamente
infondato, essendo stato affermato con orientamento indiscusso che in materia di
prevenzione infortuni sul lavoro, sussiste continuità normativa fra le
fattispecie relative alla prevenzione incendi, originariamente contemplate dagli
artt. 36 e 37 del d.P.R. 27 aprile 1955, n. 547 (decreto poi abrogato ad opera
del D. Lgs. 9 aprile 2008, n. 81), ed il reato attualmente previsto dal
combinato disposto dell'art. 16 del D. Lgs. 8 agosto 2006, n. 139, richiamato
dall'art. 46 del citato D.Lgs. n. 81 del 2008 per ribadirne la perdurante
vigenza....".
(a cura di M. Prosseda)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Fatto
Rilevato che:
con sentenza del
Tribunale di Catania del 16 marzo 2016 LS.A. è stato condannato alla pena di 500
euro di ammenda per il reato di cui agli artt.110 c.p. e 36 e 37 D.P.R. n. 547
del 1955, sanzionato dall'art. 389 lett. b) e c) e art. 4 legge n. 966/65 per
avere, quale direttore tecnico, in concorso con il legale rappresentante della
societò DESI viaggi srl, depositato nel parcheggio all'interno di un cassone
frigorifero in disuso, un serbatoio metallico contenente litri 5.001 di gasolio,
senza essere in possesso del certificato di prevenzione anti-incendi e/o nulla
osta rilasciato dai VVFF di Catania, in Fiumefreddo di Sicilia, accertato il 22
settembre 2010;
che l'imputato, per il tramite del difensore, ha presentato
appello, chiedendo la revoca della sentenza perché il fatto non costituisce
reato ex art. 129 c 1 c.p.p., in quanto è stato emanato il decreto legislativo
n. 81 del 2008 che ha abrogato il D.P.R. n. 547 del 1955 espressamente (art.
304), in subordine ha chiesto la prescrizione del reato e, in ulteriore
subordine, la mitigazione della pena, essendo state negate le circostanze
attenuanti generiche e non avendo il giudice considerato tutte le circostanze,
tenuto conto che si trattava di un fatto lieve;
Diritto
Considerato che:
il primo motivo di
ricorso è manifestamente infondato, essendo stato affermato con orientamento
indiscusso che in materia di prevenzione infortuni sul lavoro, sussiste
continuità normativa fra le fattispecie relative alla prevenzione incendi,
originariamente contemplate dagli artt. 36 e 37 del d.P.R. 27 aprile 1955, n.
547 (decreto poi abrogato ad opera del D. Lgs. 9 aprile 2008, n. 81), ed il
reato attualmente previsto dal combinato disposto dell'art. 16 del D. Lgs. 8
agosto 2006, n. 139, richiamato dall'art. 46 del citato D.Lgs. n. 81 del 2008
per ribadirne la perdurante vigenza (cfr. Sez.3, n. 5459/14 del 28/11/2013
Pietropaolo, Rv. 258844);
che dal pari manifestamente infondata è l'eccepita
prescrizione, considerato che il termine di anni cinque è stato sospeso dal 25
febbraio 2015 al 4 novembre 2015, ma l'imputato non si è confrontato con quanto
argomentato sul punto dalla sentenza di merito, per cui la censura risulta anche
generica; che, infine, anche la doglianza in ordine alle invocate circostanze
generiche ed alla dosimetria sanzionatoria non si sottrae ad un giudizio di
genericità; va innanzitutto precisato che la concessione delle attenuanti
generiche deve essere fondata sull'accertamento di situazioni idonee a
giustificare un trattamento di speciale benevolenza in favore
dell'imputato;
che nel caso di specie il ricorrente non ha posto in evidenza
di aver richiesto tale concessione, indicando parimenti quali erano stati gli
elementi e le circostanze che, sottoposte alla valutazione del giudice,
avrebbero potuto convincerlo della fondatezza dell'istanza;
che pertanto il
ricorso è inammissibile, situazione che impedisce, atteso il mancato formarsi
del rapporto impugnatorio (cfr. sez. U, n. 12602/16 del 17/12/2015, Ricci, Rv.
26681), la declaratoria di eventuali estinzioni del reato per prescrizione, e a
tale inammissibilità del ricorso, in forza del disposto di cui all'art. 616
c.p.p., consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali
e della somma di duemila euro in favore della Cassa delle ammende;
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro duemila in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, il 28 aprile 2017.