Il titolare della discoteca è tenuto a rispettare le
disposizioni dettate dalla pubblica autorità, riguardante il numero di avventori
consentito all'interno della discoteca e il mantenimento in efficienza e di
condizioni di praticabilità delle uscite di emergenza.
(a cura di Rocchina
Staiano)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE
SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CORTESE Arturo
- Presidente -
Dott. VECCHIO Massimo - Consigliere -
Dott. TARDIO Angela -
Consigliere -
Dott. LOCATELLI Giuseppe - Consigliere -
Dott. BONI Monica -
rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
T.G. N. IL (OMISSIS);
avverso la
sentenza n. 4516/2012 CORTE APPELLO di MILANO, del 17/04/2014;
visti gli
atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 15/04/2015 la
relazione fatta dal Consigliere Dott. MONICA BONI;
Udito il Procuratore
Generale in persona del Dott. IACOVIELLO Francesco Mauro che ha concluso per il
rigetto del ricorso;
udito il difensore avv. Valentina Alberta che insiste
nei motivi e chiede l'annullamento con rinvio della sentenza per valutare la
speciale tenuità del fatto ex D.Lgs. n. 28 del 2015 e comunque l'annullamento
senza rinvio per il capo A) estinto per prescrizione.
Svolgimento
del processo
1. Con sentenza in data 17 aprile 2014 la Corte di
Appello di Milano riformava parzialmente la sentenza del Tribunale di Milano del
31 gennaio 2012 resa nei confronti dell'imputato T.G. e, riconosciuta quanto al
reato di cui al capo c) la circostanza attenuante di cui all'art. 62 c.p., n. 6,
riduceva la pena a giorni sei di arresto ed Euro 70,00 di ammenda per tale
imputazione ed a giorni nove di arresto ed Euro 105,00 di ammenda per ciascuna
delle altre contravvenzioni di cui ai capi a) e b), contestategli come quella
sub c) ai sensi dell'art. 681 cod. pen. e art. 80 TULPS per avere egli violato
le prescrizioni inerenti la sicurezza pubblica dettate dalla pubblica autorità
in riferimento al numero di avventori consentito all'interno della discoteca
"(OMISSIS)", risultato superiore al limite imposto, ed all'omesso mantenimento
in efficienza ed in condizioni di praticabilità delle uscite di emergenza.
Revocava le statuizioni civili e confermava nel resto la sentenza
impugnata.
2. Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso l'imputato a mezzo
del suo difensore, il quale ne chiede l'annullamento per:
a) manifesta
illogicità della motivazione per avere la Corte di Appello ripetuto l'esito
degli accertamenti condotti dalla polizia giudiziaria e risolto la questione col
rilievo della non incidenza di eventuali errori di conteggio dei presenti
all'interno della discoteca in occasione dei due controlli effettuati, senza
considerare, invece, che quanti usciti dal locale momentaneamente potevano
essere rientrati e conteggiati nuovamente, che il controllo visivo poteva non
essere attendibile per la scarsa illuminazione e l'affollamento, causa
dell'eventuale inclusione nel numero degli avventori anche dei dipendenti, pari
a 15 unità, che la verifica condotta nella prima occasione era stata rapida e
non superiore ai trenta minuti, oltre che non percepita dai clienti.
b)
Mancanza di motivazione in relazione al giudizio di responsabilità quanto al
reato di cui al capo c); a fronte di motivo di appello col quale si era dedotto
come l'istruttoria dibattimentale non avesse chiarito se l'addebito contestato
fosse sussistente o meno, la Corte di Appello si è limitata ad affrontare il
solo profilo dell'inapplicabilità del principio di specialità, omettendo di
offrire alcuna risposta sulla reale commissione del fatto.
c) Violazione
della legge in relazione al principio di specialità di cui all'art. 15 cod. pen.
che avrebbe dovuto comportare l'assorbimento della fattispecie di cui al capo c)
in quella di cui al capo e) e dei reati di cui ai capi a) e b) in quella di cui
al capo d), questione risolta dalla Corte di Appello con motivazione
censurabile: non si è tenuto conto del fatto che la condotta è unitaria e
perfettamente sovrapponibile e consiste, quanto al capo c), nel non aver
mantenuto libere le vie di fuga e nell'aver adibito il locale tecnico a deposito
di vivande col concreto rischio di incendi e, quanto ai restanti capi
d'imputazione, nello stesso comportamento contestato al punto d1) così che le
due categorie di reati non si pongono in successione temporale e non realizzano
illeciti autonomi, nè violano beni giuridici diversi. Pertanto, avrebbe dovuto
ritenersi ravvisabili i soli reati capi d) ed e).
d) Mancanza di motivazione
in relazione alla mancata conversione della pena irrogata che avrebbe dovuto
essere valutata alla stregua dei criteri di cui all'art. 133 cod. pen..
e) Si
è quindi chiesta la restituzione nel termine per poter ottenere la sospensione
del procedimento con messa alla prova ai sensi dell'art. 168-bis cod. pen.,
istituto che ha natura sostanziale per la sua portata afflittiva e per
l'idoneità a determinare l'estinzione del reato e quindi è soggetto alle regole
di cui all'art. 2 cod. pen.; in caso di mancata condivisione di tale
impostazione, si è sollevata eccezione d'incostituzionalità della L. n. 67 del
2014 nella parte in cui, non contemplando una disciplina transitoria, la norma
ha escluso dall'applicazione dell'istituto gli imputati già sottoposti a
procedimento penale iniziato prima dell'entrata in vigore della legge stessa e
chiamati a rispondere degli stessi reati di quanti possano accedere al
beneficio.
Motivi della decisione
Il ricorso è
parzialmente fondato e va accolto nei limiti in seguito specificati.
1. Il
primo motivo censura il giudizio di responsabilità confermato dai giudici di
appello, riproponendo obiezioni sul metodo di computo degli avventori presenti
nella discoteca del ricorrente la sera dei due controlli operati il 6 febbraio
ed il 17 aprile 2010, che sono state già valutate e disattese con motivazione
ampiamente illustrativa e razionale.
1.1 Sul punto la Corte distrettuale,
conducendo l'apprezzamento di merito dei dati fattuali che le appartiene, ha
giudicato che le risultanze delle testimonianze rese dagli autori dei controlli
fossero attendibili per la correttezza del procedimento seguito, di cui ha
offerto concreta descrizione: ha dunque esposto che il giorno 6 febbraio si era
proceduto al calcolo all'ingresso del locale di coloro che vi stavano entrando,
quindi, al superamento del limite di capienza prescritto, se ne era disposta la
chiusura con la ripetizione del conteggio dei clienti, risultati in numero pari
a 223 unità; il 17 aprile, invece, dapprima si erano contati i presenti
all'interno della discoteca, quindi, bloccato l'accesso ai nuovi avventori, si
era ripetuto il calcolo ad uno ad uno di quanti all'interno, che venivano fatti
defluire verso l'esterno. Ha dunque concluso con ineccepibile logicità che
l'intervenuta interdizione dell'accesso al locale prima del conteggio con la
ripetizione della verifica consentiva di escludere la possibile duplicazione del
conteggio dei presenti e l'inclusione dei dipendenti, i quali avevano
collaborato nell'occasione con gli operanti senza avere sollevato alcuna
obiezione sul metodo seguito per il controllo.
Infine, soltanto quale rilievo
conclusivo ed introdotto "ad abundantiam" la Corte di merito ha aggiunto che
qualora, pur con le cautele adottate, si fosse verificato un errore, lo stesso
avrebbe avuto un'incidenza minima sull'esito dei controlli, tale da non
compromettere la validità del risultato conseguito per il notevole divario tra
il numero accertato dei presenti ed il limite consentito, con una differenza in
eccesso rispettivamente di 83 e di 49 unità.
1.2 Ebbene, la difesa insiste
nel prospettare possibili errori ed incertezze negli esiti acquisiti, adducendo
il particolare frangente in cui le ispezioni furono condotte, la scarsa
illuminazione, la calca, la rapidità del controllo, il possibile conteggio dei
dipendenti, ossia evenienze che non hanno trovato riscontro probatorio, che del
resto non viene nemmeno indicato in ricorso, e la cui prospettazione resta
compromessa nella sua capacità persuasiva in quanto fondata su mere congetture e
smentita dal riferito posizionamento degli operatori di p.g. all'ingresso del
locale e dal calcolo ad uno ad uno degli avventori, oltre che
dall'identificazione come tali dei dipendenti, il cui erroneo inserimento nel
novero dei clienti, per il loro numero limitato a quindici unità, non avrebbe
comunque potuto modificare l'esito raggiunto.
2. Quanto al secondo motivo di
ricorso, risponde al vero che la sentenza impugnata non ha esaminato in modo
specifico la doglianza con la quale si era contestata la sussistenza del reato
di cui al capo c, ma ha implicitamente rinviato alla ricostruzione probatoria
esposta nella sentenza di primo grado, laddove si era evidenziato come dalle
testimonianze escusse al dibattimento e dal verbale di accertamento fossero
emersi profili di responsabilità esclusivamente in merito alla violazione della
disciplina sulla prevenzione incendi per le modalità di gestione del locale, la
cui constatazione aveva dato luogo all'impartizione di specifiche prescrizioni,
che l'imputato aveva provveduto a rispettare con interventi di adeguamento.
Inoltre, si era rimarcato che il T. aveva anche provveduto alla definizione
amministrativa degli illeciti riguardanti la violazione della sicurezza dei
lavoratori dipendenti sul luogo di lavoro, con ciò determinando l'estinzione dei
reati capi d) ed e) ai sensi del D.Lgs. n. 785 del 1994, art. 24.
2.1
Pertanto, deve escludersi che la sentenza di primo grado, confermata sul punto
da quella impugnata, non abbia risolto in modo chiaro e non controverso il
quesito sulla sussistenza del reato di cui al capo c), ravvisato limitatamente
ai profili, fattuali riguardanti la gestione del locale per la presenza di
materiale ingombrante i corridoi ed i percorsi di esodo che conducono alle
uscite di sicurezza e per il mantenimento non in condizioni di efficienza
dell'impianto di sicurezza in conseguenza della destinazione dell'ambiente
tecnico, posto al secondo piano interrato, a deposito di bevande alcoliche con
elevato rischio di incendi. Per contro, si è esclusa la responsabilità per gli
addebiti riguardanti le caratteristiche strutturali del locale quanto alla
sussistenza delle vie di esodo degli avventori con percorsi non conformi alla
normativa di sicurezza, come specificato a pag. 12 della motivazione della
sentenza di primo grado e nel relativo dispositivo, dal che la palese
infondatezza della doglianza sull'irrisolta incertezza circa la sussistenza
effettiva, o solo ipotizzata, della contravvenzione contestata al capo c).
3.
Quanto ai rapporti tra i reati per i quali si è confermato il giudizio di
responsabilità e le ulteriori contravvenzioni dichiarate estinte, di cui ai capi
d) ed e), la sentenza impugnata ha escluso la possibilità dell'assorbimento dei
primi nelle seconde e ha giustificato tale statuizione in ragione del fatto che
la stessa condotta materiale nel caso specifico trasgredisce precetti
differenti, diretti ad imporre accorgimenti finalizzati a tutelare, da un lato
la sicurezza pubblica nei locali di pubblico ritrovo, dall'altro la sicurezza
dei luoghi di lavoro.
3.1 Al riguardo va detto che, ferma restando la già
disposta esclusione della responsabilità quanto al capo c) per le violazioni
relative agli aspetti strutturali, la descrizione delle condotte ascritte al T.
in tale imputazione non coincide totalmente con quella di cui al capo e), in
quanto gli è stato ascritto, non soltanto di avere mantenuto oggetti ingombranti
sui corridoi e sui percorsi di esodo conducenti alle uscite di sicurezza, tali
da impedire il libero deflusso di persone, ma anche di non avere mantenuto in
costanti condizioni di efficienza l'impianto di sicurezza - luci di emergenza,
mezzi antincendio - e di avere adibito il locale di secondo piano interrato a
deposito di bevande con la creazione di una situazione di elevato rischio di
incendio, comportamenti non riprodotti nell'accusa mossa al capo e), ove si
descrive soltanto la presenza di ingombri sulle vie di fuga e il mantenimento in
esercizio di estintori a servizio della sala e dei depositi non idonei rispetto
all'attività esercitata. Pertanto, l'unico profilo di effettiva coincidenza è
ravvisabile in merito alla presenza di imgombri ed ostacoli lungo le vie di
fuga, mentre in merito ai dispositivi di sicurezza al capo c) si addebita la
mancanza di efficienza di tutto l'impianto di sicurezza anche per la presenza di
alcolici in locale inidoneo ed al capo e) l'inidoneità degli estintori in
funzione della classe di incendio verificabile. Il confronto tra le fattispecie
induce a confermare la ravvisabilità di un'autonomia di comportamenti materiali,
descritti al capo c), che impedisce di ravvisare il dedotto rapporto di
specialità e di procedere al richiesto assorbimento.
Relativamente al
rapporto tra i reati capi a) e b) e quello sub d), per i quali le condotte
materiali ascritte coincidono, laddove si è contestato il consentito ingresso di
un numero di avventori superiore al limite prescritto nella licenza e nel
certificato di prevenzione incendi, deve rilevarsi che, secondo la stessa
impostazione difensiva della tematica, tra le due fattispecie, incriminate
rispettivamente dall'art. 681 cod. pen. e dal D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 46,
sia ravvisabile il rapporto di specialità bilaterale per specificazione,
contenendo reciprocamente l'una elementi peculiari e specializzanti rispetto
all'altra. Ebbene, proprio la considerazione di tale situazione in base ai
criteri interpretativi suggeriti dalle Sezioni Unite di questa Corte con la
pronuncia nr. 1963 del 28/10/2010, Di Lorenzo, rv. 248722, induce a confermare
la corretta applicazione al caso di entrambe le disposizioni di legge
concorrenti, sia perchè volte a tutelare beni giuridici diversi, sia perchè,
qualora tale considerazione non fosse ritenuta decisiva, non è dato ravvisare
alcun criterio normativamente disciplinato per individuare quella prevalente
sull'altra.
Premesso che, come puntualmente osservato dalle Sezioni Unite,
l'art. 15 cod. pen., nel prevedere l'operatività del principio di specialità,
postula il presupposto che le norme concorrenti siano riferite alla "stessa
materia" senza offrirne però alcuna definizione, tale concetto è stato dalla
giurisprudenza di legittimità riferito alla "stessa fattispecie astratta, lo
stesso fatto tipico di reato nel quale si realizza l'ipotesi di reato" (Sez. U.
nr. 16568 del 19/4/2007, Carchivi, rv. 235962), ravvisabile "nel caso di
specialità unilaterale per specificazione perchè l'ipotesi speciale è ricompresa
in quella generale" ma "anche nel caso di specialità reciproca per
specificazione (si veda per es. il rapporto tra artt. 581 e 572 cod. pen.) ed è
compatibile anche con la specialità unilaterale per aggiunta (per es. artt. 605
e 630) e con la specialità reciproca parte per specificazione e parte per
aggiunta (art. 641 cod. pen. e art. 218 legge fall.)", dovendosi escludere
soltanto "nella specialità reciproca bilaterale per aggiunta nei casi in cui
ciascuna delle fattispecie presenti, rispetto all'altra, un elemento aggiuntivo
eterogeneo".
E' stata altresì dettata la nozione di specialità, che qualifica
la situazione in cui la fattispecie "speciale" contiene tutti gli elementi di
altra, quella "generale", ma non li esaurisce, presentandone di ulteriori,
sicchè si realizza l'ipotesi del concorso apparente di norme, da risolversi con
l'applicazione della fattispecie speciale, sempre che "i reati abbiano la stessa
obiettività giuridica nel senso che deve trattarsi di reati che devono
disciplinare tutti la medesima materia ed avere identità di struttura". Nella
diversa situazione in cui due o più norme siano in rapporto di specialità
reciproca, le stesse presentano elementi caratteristici e specializzanti in modo
vicendevole, per cui è, maggiore la difficoltà di individuare quella prevalente;
talvolta è il legislatore direttamente ad offrire soluzione al tema mediante la
previsione di clausole di riserva che indicano quale sia l'ordine di priorità
nell'applicazione della norma incriminatrice, riferibile al caso. In mancanza di
tali clausole e nell'impossibilità di assegnare preferenza ad una piuttosto che
all'altra disposizione va ravvisato il concorso formale tra norme, da applicarsi
contestualmente.
Ebbene, è quanto si verifica nel caso in esame, nel quale la
considerazione delle fattispecie astratte come delineate dall'art. 681 cod. pen.
e dal D.Lgs. n. 81 del 2008, artt. 46 e 55 induce a ritenere che le stesse
differiscano per: a) soggetto attivo, in un caso il titolare o gestore, anche
occasionale, del locale pubblico, nell'altro il datore di lavoro; b) beni
aggrediti, la pubblica incolumità, piuttosto che la sicurezza dei lavoratori
nello svolgimento della prestazione lavorativa; c) luogo di commissione del
reato, un locale adibito a sede di trattenimenti danzanti rispetto al luogo di
svolgimento dell'attività lavorativa; d) fonte dell'obbligo trasgredito, nel
primo caso la licenza per esercizio di attività commerciali nel settore del
pubblico spettacolo, nell'altro le prescrizioni antincendio dettate dalla
specifica disciplina di cui all'art. 46 citato.
La riscontrata diversità di
elementi costitutivi delle fattispecie e la loro specialità bilaterale non
consentono l'applicazione al caso del principio sancito dall'art. 15 cod. pen.,
ma rende configurabile il concorso formale di norme, il che impedisce l'invocato
assorbimento dei reati di cui ai capi a) e b) in quello sub d), come del resto
ritenuto dai giudici di merito. La diversa opinione, espressa in ricorso, sulla
natura plurioffensiva dei reati in comparazione ed in particolare della
contravvenzione di cui all'art. 46 specie non ha alcun riscontro nella struttura
delle fattispecie e non tiene conto che, per costante insegnamento di questa
Corte, la contravvenzione di cui all'art. 681 cod. pen. è volta a proteggere
l'incolumità del pubblico che assiste allo spettacolo (Cass. sez. 1, n. 3128 del
29/09/2011, Pennarola, rv. 251843; sez. 1, n. 13055 del 24/03/2005, P.M. in
proc. Luperini, rv. 231599), mentre il reato di cui al D.Lgs. n. 81 del 2008,
artt. 46 e 55 persegue lo scopo di prevenire gli incendi e tutelare la sicurezza
dei lavoratori anche a prescindere dalla confluenza o meno nel locale di un
pubblico di avventori.
4. In riferimento al quarto motivo deve rilevarsi che
la conversione della pena detentiva nella corrispondente sanzione pecuniaria non
era stata richiesta, nè nel giudizio di primo grado e nemmeno con l'appello,
sicchè alcun addebito al riguardo può muoversi alla sentenza impugnata, che
quindi è incensurabile sul punto; invero, nell'appello si era soltanto
contestata la quantificazione della pena in ragione del mancato riconoscimento
della circostanza attenuante di cui all'art. 62 c.p., n. 6 in ragione
dell'avvenuta eliminazione delle conseguenze pericolose della condotta e si era
censurata anche la mancata considerazione dell'incensuratezza, della lievità dei
fatti e del corretto comportamento processuale elementi che avrebbero
giustificato la determinazione di pena base di gran lunga inferiore.
5.
Infine, risulta infondato anche il quinto motivo di ricorso.
5.1 Questa Corte
ha già affermato in plurime pronunce che la sospensione del processo con messa
alla prova dell'imputato, introdotto dalla legge nr. 67 del 28 aprile 2014, che
ha adattato al processo a carico dei maggiori di età analogo istituto valevole
per i minori, non può essere applicato ai processi pendenti al momento della sua
entrata in vigore quando sia già decorso il termine previsto dall'art. 464-bis
cod. proc. pen., comma 2, il quale prescrive che la richiesta "può essere
proposta, oralmente o per iscritto, fino a che non siano formulate le
conclusioni a norma degli artt. 421 e 422 o fino alla dichiarazione di apertura
del dibattimento di primo grado nel giudizio direttissimo e nel procedimento di
citazione diretta a giudizio". Pertanto, l'accesso al beneficio, diversamente da
quanto opinato dal ricorrente, non può essere invocato nel giudizio di
legittimità con una richiesta di applicazione in detta fase e nemmeno con la
sollecitazione all'annullamento della sentenza impugnata con rinvio al giudice
di merito perchè si proceda in quella sede. In tal senso si è già espressa
questa Corte con orientamento che si condivide e riafferma, secondo il quale
"nel giudizio di cassazione l'imputato non può chiedere la sospensione del
procedimento con la messa alla prova di cui all'art. 168-bis cod. pen., nè può
altrimenti sollecitare l'annullamento della sentenza impugnata con rinvio al
giudice di merito, per l'incompatibilità del nuovo istituto con il sistema delle
impugnazioni e per la mancanza di una specifica disciplina transitoria" (Cass.
sez. F, n. 35717 del 31/07/2014, Ceccaroni, rv.
259935).
6. Del pari priva
di fondamento si rivela la richiesta, articolata soltanto all'udienza di
discussione, volta ad ottenere l'applicazione del disposto dell'art. 131-bis
cod. pen., come introdotto dalla L. n. 28 del 2015, che prevede quale causa di
non punibilità la speciale tenuità del fatto; il provvedimento normativo che ha
introdotto tale istituto non prevede una disciplina transitoria, ma la natura
sostanziale dell'istituto ed i suoi effetti favorevoli per il reo inducono a
ravvisarne l'applicabilità astratta anche con effetto retroattivo a fattispecie
concrete di reato, commesse prima dell'entrata in vigore della disposizione che
lo regola, secondo la previsione generale dell'art. 2 cod. pen., comma 4.
Inoltre, a norma dell'art. 609 cod. proc. pen., comma 2, poichè l'introduzione
nell'ordinamento di tale causa di non punibilità è avvenuta in momento
successivo alla celebrazione del giudizio di appello, il che ne ha precluso
materialmente ogni possibilità di deduzione nella più appropriata sede di
merito, deve ritenersi che la stessa sia applicabile, nella sussistenza dei
relativi presupposti, anche nel giudizio di legittimità.
6.1 Al riguardo, non
può prescindersi dalla considerazione del circoscritto perimetro dei poteri
cognitivi, propri del giudizio di cassazione, nel quale non sono consentiti
accertamenti di fatto;
pertanto, il riconoscimento della non punibilità per
speciale tenuità del fatto postula la verifica dell'astratta applicabilità
dell'istituto al caso concreto alla stregua dei presupposti dettati dal
parametro normativo di riferimento e, in caso di esito positivo, l'annullamento
della sentenza impugnata con rinvio al giudice di merito perchè proceda alla
relativa declaratoria sulla scorta dell'apprezzamento in concreto dell'effettiva
gravita della fattispecie. In tal senso risulta essersi pronunciata questa Corte
sez. 3 con la sentenza nr. 15449 del 15 aprile 2015, alle cui affermazioni di
principio si ritiene di dover dare continuità per la loro piena
condivisione.
6.2 Tanto premesso, esclusa dunque l'astratta incompatibilità
dell'istituto col giudizio di cassazione, nel caso di specie la considerazione
in questa sede conducibile alla stregua delle valutazioni espresse dai giudici
di merito ai fini della commisurazione del trattamento sanzionatorio e
dell'accusa come formulata nei capi d'imputazione induce ad escluderne
l'applicabilità: sotto il primo profilo l'imputato non risulta condannato alla
pena minima edittale, il che significa che l'apprezzamento delle caratteristiche
specifiche della vicenda ha giustificato punizione a tale soglia superiore.
Quanto all'altro aspetto in considerazione, le condotte antigiuridiche ascritte
al ricorrente risultano essere state plurime e reiterate nel tempo, il che
contrasta con il disposto dell'art. 131-bis cod. pen., comma 3, il quale esclude
esplicitamente la causa di esenzione dalla pena quando i reati "abbiano ad
oggetto condotte plurime, abituali e reiterate", configurando in tal modo
un'espressa condizione ostativa all'ammissione al beneficio.
Deve piuttosto
rilevarsi che al momento attuale la contravvenzione di cui al capo a) è estinta
per prescrizione e ciò, anche tenendo conto del periodo di sospensione del
procedimento dal 18.11.2011 al 13.1.2012 per astensione dei difensori dalle
udienze il che ha determinato la proroga del termine di prescrizione dal
6/2/2015 al 3/4/2015.
In definitiva la sentenza impugnata va annullata senza
rinvio quanto al predetto reato con eliminazione della relativa pena di giorni
nove di arresto ed Euro 105,00 di ammenda, mentre nel resto il ricorso va
respinto.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al reato
di cui al capo a) della rubrica perchè estinto per prescrizione ed elimina la
relativa pena di giorni nove di arresto ed Euro 105,00 di ammenda. Rigetta nel
resto il ricorso.
Così deciso in Roma, il 15 aprile 2015.
Depositato in
Cancelleria il 5 agosto 2015