Ristrutturazioni edilizie, la Consulta salva le disposizioni della Regione Veneto

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La Corte Costituzionale con sentenza n.259 del 20 novembre 2014 esclude l’illegittimità costituzionale di alcune leggi della Regione Veneto in materia di ristrutturazioni edilizie e di rispetto della sagoma, anche alla luce delle modifiche intervenute sul Testo Unico dell’Edilizia grazie all’introduzione del Decreto del Fare.

Il Presidente del Consiglio dei Ministri ha promosso questione di legittimità costituzionale sugli artt. 7, comma 1, e 10, comma 6, nonché dell’art. 11, commi 1 e 2, della legge della Regione Veneto 29 novembre 2013, n. 32 “Nuove disposizioni per il sostegno e la riqualificazione del settore edilizio e modifica di leggi regionali in materia di urbanistica ed edilizia.

Le disposizioni regionali contestate dallo Stato
Secondo lo Stato, gli articoli consentirebbero gli interventi di demolizione e ricostruzione anche in violazione delle prescrizioni più restrittive contenute negli atti di pianificazione di bacino le quali, ai sensi dell’art. 65, commi 4, 5 e 6, del Codice Ambiente (D.Lgs. n.152/2006), hanno carattere vincolante e sono sopra-ordinate ai piani territoriali ed ai programmi regionali. In particolare, eliminerebbero il riferimento, all’obbligo di rispetto della sagoma dell’edificio preesistente in relazione agli interventi di ristrutturazione edilizia, contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera s), e terzo comma, Cost., nella parte in cui consentono, in relazione alle modifiche aventi ad oggetto beni immobili sottoposti a vincoli ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137), interventi di ristrutturazione edilizia che non rispettino il limite della sagoma dell’edificio preesistente, in tal modo violando la potestà esclusiva dello Stato in materia di tutela dei beni culturali ed il principio fondamentale di governo del territorio contenuto nell’art. 3, comma 1, lettera d), del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia.

Secondo la Corte
La Corte sottolinea innanzitutto che non è chiaro, alla luce della stringata motivazione a supporto del ricorso, in quali termini la possibilità di demolire edifici ricadenti nelle aree dichiarate ad alta pericolosità idraulica o idrogeologica e di ricostruirli in zona territoriale omogenea propria, non dichiarata di pericolosità idraulica o idrogeologica, possa ledere le previsioni contenute nei piani di bacino di cui agli artt. 64 e 65 del d.lgs. n. 152 del 2006.

In riferimento alla seconda questione, avente ad oggetto l’art. 11, commi 1 e 2, della legge della Regione Veneto n. 32 del 2013, osserva la Corte che tali disposizioni, modificano le lettere a) e b) dell’art. 10, comma 1, della legge reg. Veneto n. 14 del 2009, (le quali regolano gli interventi di ristrutturazione edilizia previsti dall’art. 3 e dall’art. 10 del D.P.R. n. 380 del 2001) e la novità introdotta dalla legge regionale n. 32 del 2013 sta nell’aver eliminato il richiamo obbligatorio al rispetto della sagoma dell’edificio preesistente.
In altre parole, può aversi ristrutturazione edilizia – senza ampliamento nel caso della lettera a) e con ampliamento nel caso della lettera b) – anche se la costruzione che ne risulta non rispetti più la sagoma dell’edificio preesistente, bensì soltanto il volume.

Rispetto a ciò, la Corte si deve pronunciare da un lato sulla eventualità che la soppressione comporti o meno la violazione dei criteri di riparto delle competenze, e dall’altro il problema della lesione della competenza esclusiva dello Stato in materia di tutela dei beni culturali.

Il riparto delle competenze
Rispetto alla prima questione, la Corte ricorda che per costante giurisprudenza «nell’ambito della normativa di principio in materia di governo del territorio le disposizioni legislative riguardanti i titoli abilitativi per gli interventi edilizi (sentenza n. 303 del 2003, punto 11.2 del Considerato in diritto): a fortiori sono principi fondamentali della materia le disposizioni che definiscono le categorie di interventi, perché è in conformità a queste ultime che è disciplinato il regime dei titoli abilitativi, con riguardo al procedimento e agli oneri, nonché agli abusi e alle relative sanzioni, anche penali» pertanto, la definizione delle diverse categorie di interventi edilizi spetta allo Stato (sentenze n. 102 e n. 139 del 2013).
Tuttavia, come correttamente rilevato dalla Regione Veneto, il recente intervento legislativo di cui all’art. 30 del decreto del Fare (decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69), nell’apportare una serie di modifiche al D.P.R. n. 380 del 2001, ha disposto la soppressione -sia all’interno dell’art. 3, comma 1, lettera d), che all’interno dell’art. 10, comma 1, lettera c), del d.P.R. stesso – del riferimento al rispetto della sagoma: in altri termini, la normativa statale non contiene più, in relazione alla definizione della ristrutturazione edilizia, l’obbligo di rispetto della sagoma precedente, ma solo quello di rispetto del volume.
E prosegue la Corte chiarendo che il testo attuale dell’art. 3, comma 1, lettera d), del D.P.R. n. 380 del 2001 – come risultante dalle modifiche apportate dal citato art. 30 del d.l. n. 69 del 2013 – oltre ad aver eliminato, come detto, il riferimento all’obbligo di rispetto della sagoma nella definizione degli interventi di ristrutturazione edilizia, ha tuttavia mantenuto fermo che, «con riferimento agli immobili sottoposti a vincoli ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, gli interventi di demolizione e ricostruzione e gli interventi di ripristino di edifici crollati o demoliti costituiscono interventi di ristrutturazione edilizia soltanto ove sia rispettata la medesima sagoma dell’edificio preesistente». Il che corrisponde ad una scelta obbligata, poiché sarebbe inimmaginabile la ristrutturazione di un’opera edilizia, che sia anche vincolata con l’alterazione della relativa sagoma.

La competenza concorrente nella tutela dei beni culturali
Quanto alla competenza concorrente in materia di tutela dei beni culturali, la Corte ricorda che le Regioni non possono emanare alcuna normativa, neppure meramente riproduttiva di quella statale. In altri termini, ove la Regione Veneto, nel rimodellare il concetto di ristrutturazione edilizia, avesse esplicitamente aggiunto che l’obbligo di rispetto della sagoma permane per i beni culturali assoggettati a vincolo, la norma regionale sarebbe stata costituzionalmente illegittima, perché sarebbe andata ad interferire in un ambito di competenza esclusiva dello Stato.
Ma nel caso in esame, invece, il silenzio della legge reg. Veneto n. 32 del 2013 sul punto non può che essere interpretato nel senso della vigenza della disposizione statale di cui all’art. 3, comma 1, lettera d), del D.P.R. n. 380 del 2001; e, quindi, nel senso che la disposizione statale in materia di obbligo di rispetto della sagoma preesistente nelle ristrutturazioni aventi ad oggetto beni culturali vincolati è necessariamente operativa anche nell’ambito regionale.

Decadono, quindi secondo la Corte tutte le censure di illegittimità costituzionale prospettate dallo Stato contro le norme della regione Veneto, in quanto non fondate.

Riferimenti normativi:
Corte Costituzionale sentenza n.259 del 20 novembre 2014

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Redazione InSic

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